Cioè. Voglio dire. Nella misura in cui. Una sorta di…
A ciascun periodo il suo intercalare. Le parole che si infilano in ogni incontro, in ogni intermezzo, in ogni conversazione.
Pensavo – ascoltando le voci di Radio Tre - che questo fosse il periodo di “una sorta di…”. E non a caso: siamo in una fase dove su ogni fronte è difficile definire e precisare. All’esattezza dunque ci si avvicina per approssimazioni progressive, per passi successivi e somiglianze che si svelano a poco a poco.
Mi sbagliavo. L’intercalare che si sta imponendo è un altro: “il resto tutto bene”.
Due si incontrano:
– Come va? – chiede uno.
– Il resto tutto bene! – risponde l’altro.
Ma che razza di risposta è?
In situazioni e città diverse, più volte ho sentito negli ultimi giorni questo scambio di battute. All’inizio non avevo capito. Convinto di essermi perso la parte iniziale della risposta. Invece no, la risposta è proprio quella: “il resto tutto bene!”.
È evidente che chi risponde ha un problema. Un peso che sta portando. Una difficoltà contro la quale sta sbattendo la testa. Però, il macigno lo si salta a piè pari. Lo si segna come assente. Forse perché è simile a quello di tutti (la crisi?, il lavoro?, il futuro?) e non vale la pena di parlarne. O, forse, perché è così scavato dentro ciascuno da non essere dicibile. Almeno di questi tempi frettolosi.
Comunque ora, nel salutarsi, si è presa questa abitudine. Il resto tutto bene.
Di quel che resta, del resto, si tace.