giovedì 28 marzo 2013

Ascoltare una voce che racconta


Ore 13.30. In un bar di Borgoforte dove abbiamo mangiato (...)

Rari i clienti, e il padrone si messo a raccontarci la storia di una contessa che s'era sposata con un generale dei corazzieri, “al tempo della prima guerra”, e venendo da Milano i due hanno avuto un “cattivo incidente d’auto” dove lui è morto, e dopo lei non ha mai voluto risposarsi. E da allora non ha mai voluto vendere i “prodotti da frutto” della campagna di suo marito; e i commercianti vanno a chiedere di comprare le sue pere e mele e noci, ma lei li cacia via “anche a male parole”. Però se ci sono dei bambini che vanno a rubargliele sugli alberi “lei stia pur sicuro che se la contessa li vede, si nasconde a guardarli e non dice niente, anzi è contenta".

Ascoltare una voce che racconta fa bene, ti toglie dall’astrattezza di quando sei a casa credendo di aver capito qualcosa “in generale” ed è come seguire gli argini di un fiume dove scorre qualcosa che non può essere capito astrattamente.


Gianni Celati, Verso la Foce, Feltrinelli 2011 pag. 57

venerdì 15 marzo 2013

What’s in a name?



What’s in a name? La struggente domanda di Giulietta risuona più attuale che mai dal momento in cui il nome di Francesco è stato pronunciato dalla Loggia delle Benedizioni di San Pietro come quello assunto dal nuovo papa. 

È un nome difficile. È un manifesto: riformerò, farò pulizia, diraderò la tenebra, puntellerò la chiesa che crolla, come Francesco fa nel celebre affresco di Giotto nella Basilica superiore di Assisi. 

Può essere uno slogan, o peggio uno di quei beffardi rovesciamenti cui ci ha abituato il newspeak contemporaneo: la Casa delle Libertà, il Ministero dell’Armonia. Ma Francesco non è comunque un nome che si possa portare in modo indifferente. È un pegno. Una promessa. 

In quelle poche sillabe parla un’idea che è stata centrale per la cultura di questo paese e per quella dell’intero Occidente: l’idea che il mondo, la vita umana, la pace, la giustizia sociale, sono doni straordinari che siamo chiamati tutti a custodire, a difendere, a diffondere. È una responsabilità umana e storica, non solo religiosa. Ed è questo radicamento nella vicenda terrena, questa celebrazione della vita pienamente e giustamente vissuta ciò che essenzialmente c’è nel nome Francesco. 

E in questo nome, da oggi, dovremo necessariamente misurare i passi del nuovo capo della Chiesa cattolica.

Stefano Chiodi da “Cosa c’è in un Nome” www.doppiozero.com

Clessidra filosofica di marzo. Il tema del mese è "Sfruttamento".


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Ti aspettiamo allo Spazio dell'anima lunedì  18 marzo dalle 20,30 per iniziare puntualmente alle 21,00.

Prenota via mail (info@spazidellanima.it) la tua partecipazione all’evento e anticipa in poche righe la natura del tuo intervento.

martedì 12 marzo 2013

Il Principe e il Mago

C’era una volta un giovane principe che credeva in tutte le cose tranne in tre. Non credeva nelle principesse, non credeva nelle isole, non credeva in Dio.


Il re suo padre gli diceva che queste cose non esistono. Siccome nei dominii paterni non vi erano né principesse né isole né alcun segno di Dio, il principe credeva al padre.


Ma un bel giorno il principe lasciò il palazzo reale e giunse al paese vicino. Quivi, con sua grande meraviglia, da ogni punto della costa vide delle isole e, su queste isole, strane e inquietanti creature cui non si arrischiò di dare un nome. Stava cercando un battello, quando lungo la spiaggia gli si avvicinò un uomo in abito da sera, di gran gala.

“Sono vere isole, quelle?”, chiese il giovane principe.

“Certo, sono vere isole”, rispose l’uomo in abito da sera.

“E quelle strane e inquietanti creature?”.

“Sono tutte genuine ed autentiche principesse”.

“Ma allora anche Dio deve esistere!”, gridò il principe.

“Sono io Dio”, rispose l’uomo in abito da sera con un inchino.

Il giovane principe tornò a casa al più presto. “Eccoti dunque di ritorno”, disse il re suo padre. “Ho visto le isole, ho visto le principesse, ho visto Dio”, disse il principe in tono di rimprovero.


Il re rimase impassibile. “No esistono né vere isole né vere principesse né un vero Dio”.

“Ma è ciò che ho visto!”

“Dimmi com’era vestito Dio”.

“Dio era in abito da sera, di gala”.

“Portava le maniche della giacca rimboccate?”


Il principe ricordava che erano rimboccate.


Il re rise. “E’ la divisa del mago. Sei stato ingannato”.


A queste parole il principe tornò nel paese vicino e si recò sulla stessa spiaggia dove s’imbatté nell’uomo in abito da sera.


“Il re mio padre mi ha detto chi sei” disse indignato.


“L’altra volta mi hai ingannato, ma non mi ingannerai ancora. Ora so che quelle non sono vere isole né vere principesse, perché tu sei un mago”. L’uomo della spiaggia sorrise.


“Sei tu che t’inganni ragazzo mio. Nel regno di tuo padre vi sono molte isole e molte principesse. Ma tu sei sotto l’incantesimo di tuo padre e non le puoi vedere”.


Il principe tornò a casa pensieroso. Quando vide il padre, lo fissò negli occhi.


“Padre, è vero che tu non sei un vero re ma un mago?” Il re sorrise e si rimboccò le maniche.

“Sì, figlio mio, sono solo un mago”.


“Allora l’uomo della spiaggia era Dio”


“L’uomo della spiaggia era un altro mago”.


“Devo sapere la verità, la verità dietro la magia”.


“Non vi è alcuna verità, dietro la magia”, disse il re.


Il principe era in preda alla tristezza. Disse: “ Mi ucciderò”.


Il re, per magia fece comparire la morte. Dalla porta la morte fece un cenno al principe. Il principe rabbrividì. Ricordò le isole belle ma irreali e le belle ma irreali principesse. “Va bene”, disse,“riesco a sopportarlo”.


“Vedi, figlio mio”, disse il re, “adesso anche tu stai diventando un mago.


Tratto da The Magus di John Fowles

lunedì 4 marzo 2013

Irreversibilità


È chiaro che l'universo si evolve col passare del tempo – l'universo dei primi istanti era caldo e denso, quello attuale è freddo e rarefatto. Ma il collegamento che farò è molto più profondo. L'aspetto più misterioso del tempo è che ha una direzione: il passato è diverso dal futuro. È la cosiddetta freccia del tempo: diversamente da quanto accade per le direzioni spaziali, che nascono tutte uguali, l'universo ha indiscutibilmente una direzione preferita per il tempo. Uno dei principali motivi conduttori di questo libro è che la freccia del tempo esiste perché l'universo evolve in un certo modo.

La ragione per cui il tempo ha una direzione è che l'universo è pieno di processi irreversibili, cose che avvengono in una direzione temporale, ma mai in direzione opposta. Possiamo trasformare un uovo in frittata ma non una frittata in uovo. Il latte si mescola col caffè; i combustibili bruciano e si trasformano in gas di scarico; le persone nascono, invecchiano e muoiono. Ovunque in natura troviamo successioni di eventi in cui un certo tipo di evento accade sempre prima e un altro dopo; sono queste successioni, tutte insieme, a definire la freccia del tempo.

È piuttosto notevole che alla base della nostra comprensione dei processi irreversibili vi sia un singolo concetto: una quantità chiamata entropia, che misura il grado di disordine di un oggetto o di un conglomerato di oggetti. L'entropia ha un'ostinata tendenza ad aumentare, o almeno a rimanere costante, col passare del tempo: è il famoso secondo principio della termodinamica. È il motivo per cui l'entropia vuole aumentare è ingannevolmente semplice: ci sono più modi di essere disordinati che ordinati, quindi (a parità di altre condizioni) una configurazione ordinata tenderà naturalmente verso un maggiore disordine. Non è così difficile rimescolare le molecole dell'uovo per farne una frittata, ma risistemarle con delicatezza una per una nella configurazione dell'uovo va oltre le nostre possibilità.
La storia che i fisici sogliono ripetere a sé stessi normalmente finisce qui. Ma c'è un ingrediente assolutamente cruciale che non ha ricevuto sufficiente attenzione: se nell'universo tutto evolve verso un disordine maggiore, la configurazione iniziale doveva per forza essere estremamente ordinata. L'intera catena logica che pretende di spiegare perché non si può trasformare una frittata in uovo a quanto pare si regge su un'ipotesi molto importante riguardante l'universo al momento del suo inizio, cioè che esso si trovasse in uno stato di entropia molto bassa, dunque molto ordinato.

La freccia del tempo collega l'universo primordiale a qualcosa che sperimentiamo letteralmente in ogni momento della nostra vita. Non si tratta solo di sbattere le uova o di altri processi irreversibili, come mescolare il latte al caffè, o il fatto che una stanza non ben tenuta diventa sempre più disordinata. La freccia del tempo è la ragione per cui il tempo sembra scorrere o, se preferite, per cui ci sembra di muoverci nel tempo. Quella per cui ricordiamo il passato e non il futuro, quella per cui cresciamo, invecchiamo e da ultimo moriamo. È il motivo per cui crediamo in causa ed effetto, ed è fondamentale per il nostro concetto di libero arbitrio.

E tutto questo a causa del big bang.

Sean Carroll, Dall’Eternità a Qui - La ricerca della teoria ultima del tempo -Adelphi, Milano, 2011, Biblioteca scientifica 49


venerdì 1 marzo 2013

lo spirito del tempo



Un altro ideale ci precede correndo […]: l’ideale di uno spirito che ingenuamente, cioè suo malgrado e per esuberante pienezza e possanza, giuoca con tutto quanto fino a oggi fu detto sacro, buono, intangibile, divino; uno spirito per il quale il termine supremo, in cui il popolo ragionevolmente ripone la sua misura di valore, significherebbe già qualcosa come pericolo, decadenza, abiezione, o per lo meno diversivo, cecità, effimero oblio di sé; è l’ideale di un umano-sovrumano benessere e benvolere, un ideale che apparirà molto spesso disumano, se lo si pone, ad esempio, accanto a tutta la serietà terrena fino a oggi esistita […] – un ideale con cui, nonostante tutto ciò, comincia forse per la prima volta la grande serietà, è posto per la prima volta il vero punto interrogativo, con cui il destino dell’anima ha la sua svolta, la lancetta si muove, la tragedia comincia…


F. Nietzche La Gaia Scienza – Opere, a cura di G. Colli e M. Montinari,  V, II, 262-263, Adelphi, Milano