giovedì 24 aprile 2014

"Il CONVIVIO" - LUNEDI' 28 ALLO SPAZIO DELL'ANIMA



Il Convivio: uno spazio libero in cui i soci e gli amici della Scuola popolare di filosofia e cittadinanza si possono ritrovare per passare insieme una serata nella quale possono porre una loro questione, legata all'esperienza vissuta o a una domanda che li impegna, sapendo che tutti i presenti saranno felici di farsi coinvolgere e di di filoso-fare sulla questione posta. Un'occasione per praticare il dialogo e l'epoché facendo fluire nel gruppo il pensiero per il puro piacere di farlo.

Vi invitiamo quindi al Convivio di Spazi dell'anima,  il 28 marzo 2014 dalle 20.30 alle 22.30 allo Spazio dell'anima in via Carlo Denina 72.


L'incontro è gratuito e aperto a tutti. E' gradito un contributo in cibo o bevande (piccolo!) da condividere con gli altri.

mercoledì 23 aprile 2014

Oceano Atlantico


18 GIORNI D'OCEANO. L'oceano è un fatto di immaginazione. Sul mare non si vedono le coste, sul mare le onde sono più numerose di quanto non serva nella vita quotidiana, sul mare non sai cosa ci sia sotto di te.
Ma soltanto l'idea che a destra non c'è terra fino al polo e a sinistra non c'è terra fino al polo, davanti a te c'è un secondo mondo del tutto nuovo e sotto di te, forse, c'è l'Atlantide, ebbene, soltanto quest'idea è l'oceano Atlantico. Calmo, l'oceano è noioso. Per diciotto giorni scivoliamo come una mosca sullo specchio. Solo una volta abbiamo assistito a uno spettacolo ben riuscito, sulla via del ritorno da New York a Le Havre. Un denso acquazzone copriva di schiuma il bianco oceano, striava di bianco il cielo, con fili bianchi cuciva il cielo all'acqua. Dopo è comparso l'arcobaleno. L'arcobaleno si rifletteva e si chiudeva nell'oceano e noi, come acrobati di circo, ci gettavamo nel cerchio iridescente. Poi di nuovo spugne galleggianti, pesciolini volanti, pesciolini voltanti e spugne galleggianti del mar dei Sargassi, e in rare, solenni occasioni, fontane di balene. E sempre, fino alla noia (a volte fino alla nausea), acqua e acqua.

L'oceano stanca, ma quando non c'è ci si annoia.

Dopo, cerchiamo a lungo il fragore dell'onda, il rumore tranquillizzante delle macchine, il tintinnio ritmato delle placche di rame dei boccaporti.

Vladimir Majakovskij, America, Voland, Roma, 2004,

giovedì 17 aprile 2014

Umanesimo delle panchine



In certi paesi le giornate sono fatte solo di epiloghi, ogni persona, ogni avvenimento sembra ruotare intorno alla dismissione, alla resa, al fallimento. Forse c’è un solo modo per non cadere nella disperazione: svolgere una serena obiezione all’esistente, immaginare che dai paesi più vuoti può venire uno sguardo che risana, perché quando si è in pochi nessun cuore è acqua piovana
F. Arminio


La paesologia non è solo “uno sguardo che risana” ma soprattutto un ascolto generoso e misericordioso dalle poche ma intense parole che si riescono ad ascoltare sulle panchine “dello sconforto e della beatitudine”.L’umanesimo delle montagne si racconta su queste panchine dove “si guarda senza essere visti e ci si dà il tempo di perdere il tempo”. Le panchine ti “chiedono misericordia” e sono sorde verso chi “ha qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli altri. 

Nei “piccoli paesi dalla grande vita” non è solo un’anomalia sociale ma una riserva di senso non solo da parte di chi si sente estraneo , abbandonato dalla Storia e si sottrae alle regole scritte della crescita, della produttività, dell’efficienza ma anche una rappresentazione autonoma e libera anche allo sguardo degli altri. I cittadini delle nostre panchine paesane sono molto diversi da quelli delle grandi metropoli postindustriali rappresentate da anziani, donne incinte o con carrozzina, badanti in riposo o al mercato maschi o femmine adulti, chi sta seduto su una panchina è poco raccomandabile. Nel migliore dei casi è un disoccupato, uno sfaccendato, una vita di riserva da ignorare o da temere. Nei nostri paesi la panchina è lo spazio pubblico delle vite compiute e piene dove la solitudine e il silenzio sono i paradigmi per nuovi racconti possibili dove le parole continuano ad avere peso comunicativo e il silenzio esprime il massimo della vita vissuta. Ma la panchina è l’ultimo simbolo di qualcosa che non si compra o si fa mercato di cose inutili ma solo di sentimenti forti o , di un modo gratuito di trascorrere il tempo nella inoperosità neanche nella decrescita e di mostrarsi in pubblico, di abitare le piccole comunità ,il tempo interno e lo spazio di cui si è parte esclusiva. 

La panchina è un luogo di sosta di un’utopia realizzata nella fatica dell’esistenza e nell’amore carnale per la terra. Sono rivolte all’infinito e al centro della piazza ….è il margine sopraelevato della realtà, e continuo e distaccato contatto con il futuro che passa e ti saluta “buongiorno!” e la risposta doppia “Buongiorno, buongiorno”. La panchina è anche anche il posto ideale per osservare quello che accade e prenderne atto sotto un’angolatura defilata e sospesa ma presente al futuro con un messaggio ancora utile: umanesimo delle montagne si fonda sulla cultura esistenziale in cui l’otium sostituisce il negotium, e la cultura non solo della nostalgia ma dell’attesa,della misericordia, della contemplazione ha la meglio sui traffici, i commerci e gli scambi.

di Mauro Orlando

http://comunitaprovvisorie.wordpress.com/2012/09/29/lumanesimo-delle-panchine/

venerdì 11 aprile 2014

Aisthesis


MB Hai intitolato il tuo ultimo documentario Case sparse ma l’elemento più attraente è il sottotitolo «visioni di case che crollano», come può entrare la visione nel cinema della realtà?

GC Intanto la parola visione ha una tradizione molto lunga. L’apparizione ha a che fare con la mistica (vengono in mente le sante). L’uomo adulto che diventa l’imbecille razionale non capisce queste sante che diventano dei matti. La tradizione della visione va ad esperienze sciamaniche in Africa o in Asia… Per noi il vedere è diventato un processo meccanico come se esistesse un puro vedere retinico.

In tutto quello che ci succede possiamo dire che c’è un modo per poterlo mettere in discorsi, è un processo di concettualizzazione del mondo ma c’è un altro modo che fa parte della nostra vita che fa parte del sensitivo, della sensitività.

Nel Timeo gli dei hanno messo la sensibilità negli uomini, in greco è aisthesis che è la parola da cui deriva estetica che per noi è la scienza del bello ma originariamente è lo studio di com’è lo stadio percettivo, il sensibile. Il sensitivo sarebbe questo nostro tipo di coniugazione con quello che è fuori di noi, un connubio con quello fuori di noi.

Quel muro è giallo ma il fatto che sia giallo è solo un modo per metterci d’accordo, il muro non è giallo in sé, tutto il sensitivo è una nostra forma di accoppiamento con quello che è fuori di noi. Non parliamo di concetti ma di percetti, qualcosa che è un momento che poi scappa via, non posso concepire la visione in termini dell’oggettività… Gli antichi dicevano la vaghezza, il bello era dato dalla vaghezza che sfugge.

La visione richiede che l’uomo sia un po’ disarmato, se io so già tutto di un dato posto non vedo più niente, il percetto sarebbe questa nostra copulazione con quello che sta di fuori.


Tratto da  Intervista di Matteo Bellizzi a Gianni Celati in  Rigabooks


venerdì 4 aprile 2014

passare, stare



Per passare da un posto all’altro esistono le porte. Di solito sono di legno, ma delle volte no. Di ferro di solito sono i cancelli, ma delle volte di legno. I portoni di legno si chiamano porte. Per uscire da un posto entrando in un altro, come nel parto, esistono le porte. Le mosche si posano su. I mezzi di trasporto vengono o vanno. Le porte sono mezzi di trasporto che nello stesso posto stanno. Solitamente bianche, come le pareti sono di solito. Si muovono ma restano nello stesso posto, come il mare. Le mosche si posano su, poi volano via. Via volano via, poi si posano su. Le pareti restano ferme. I ragni ci fanno le tele su. Non sulle porte, che hanno due lati; sulle pareti, che hanno un lato solo, o l’altro. Gli occhi si posano su.


Arnaldo Antunes, As coisas, in L'accalappiacani numero 3, Roma, DeriveApprodi 2009, p. 41