venerdì 11 aprile 2014

Aisthesis


MB Hai intitolato il tuo ultimo documentario Case sparse ma l’elemento più attraente è il sottotitolo «visioni di case che crollano», come può entrare la visione nel cinema della realtà?

GC Intanto la parola visione ha una tradizione molto lunga. L’apparizione ha a che fare con la mistica (vengono in mente le sante). L’uomo adulto che diventa l’imbecille razionale non capisce queste sante che diventano dei matti. La tradizione della visione va ad esperienze sciamaniche in Africa o in Asia… Per noi il vedere è diventato un processo meccanico come se esistesse un puro vedere retinico.

In tutto quello che ci succede possiamo dire che c’è un modo per poterlo mettere in discorsi, è un processo di concettualizzazione del mondo ma c’è un altro modo che fa parte della nostra vita che fa parte del sensitivo, della sensitività.

Nel Timeo gli dei hanno messo la sensibilità negli uomini, in greco è aisthesis che è la parola da cui deriva estetica che per noi è la scienza del bello ma originariamente è lo studio di com’è lo stadio percettivo, il sensibile. Il sensitivo sarebbe questo nostro tipo di coniugazione con quello che è fuori di noi, un connubio con quello fuori di noi.

Quel muro è giallo ma il fatto che sia giallo è solo un modo per metterci d’accordo, il muro non è giallo in sé, tutto il sensitivo è una nostra forma di accoppiamento con quello che è fuori di noi. Non parliamo di concetti ma di percetti, qualcosa che è un momento che poi scappa via, non posso concepire la visione in termini dell’oggettività… Gli antichi dicevano la vaghezza, il bello era dato dalla vaghezza che sfugge.

La visione richiede che l’uomo sia un po’ disarmato, se io so già tutto di un dato posto non vedo più niente, il percetto sarebbe questa nostra copulazione con quello che sta di fuori.


Tratto da  Intervista di Matteo Bellizzi a Gianni Celati in  Rigabooks