venerdì 28 gennaio 2011

Il pittore e il pesce di R.Carver

Tutto il giorno aveva lavorato come un treno.
Dipingeva per dipingere, sul serio, le pennellate
una dietro l’altra come una macchina. Poi fece uno squillo
a casa. E questo fu quanto. Fine della storia,
aveva detto lei. Lui tremava come una foglia. E ricominciò
a fumare. Si sdraiò un po’ ma poi si rialzò,
subito. Come faceva a dormire se la sua compagna lo sbeffeggiava
dicendo che il tempo stava per finire? Andò in macchina fino in città. Ma non per bere.
No, fece due passi. Passò accanto a una segheria
chiamata «La segheria». Odore di legname
appena tagliato, luci dappertutto, uomini che guidavano
furgoncini ed elevatori, che si davano un gran da fare.
Legname ammucchiato fino al soffitto del magazzino,
lo stridere e lo sferragliare del macchinario. Abbastanza
facile da ricordare, pensò lui. Continuò
a camminare, ora pioveva, una pioggia leggera che vuole
fare il possibile per non dare troppo fastidio
a nessuno e chiede in cambio solo
che non la si dimentichi. Il pittore
si tirò su il bavero e disse tra sé e sé
che non se ne sarebbe dimenticato.

Arrivò davanti a un edificio illuminato
dove, in una stanza, c’erano degli uomini che giocavano
a carte attorno a un grande tavolo. Un tizio
con il berretto stava alla finestra e guardava
fuori tra la pioggia mentre fumava
la pipa. Anche quella era un’immagine che non
voleva dimenticare, ma poi
al pensiero seguente si strinse
nelle spalle. A che serviva?

Continuò a camminare finché arrivò al pontile
con i suoi piloni mezzi marci. La pioggia cadeva
più forte ora. Sibilava quando colpiva
l’acqua. I lampi andavano e venivano.
I lampi scoccavano nel cielo
come ricordi, come rivelazioni. Proprio
quando era sul punto di disperare,
un pesce saltò fuori dall’acqua
scura sotto il pontile e ricadde in acqua
e poi venne su di nuovo come una saetta
per ergersi sulla coda e scrollarsi tutto!
Il pittore poteva a stento credere
ai suoi occhi, alle sue orecchie! Aveva appena
avuto un segno – anche se la fede non c’entrava
niente. La bocca gli si spalancò
di colpo. Quando raggiunse casa
aveva smesso di fumare e raccolse
Il pennello. Era pronto a ricominciare,
ma non sapeva se una sola
tela sarebbe bastata per contenere tutto. Non
importa. Avrebbe continuato
su un’altra tela, se necessario.
O tutto o niente. Lampi, acqua,
pesce, sigarette, carte, macchinari,
il cuore umano, quel vecchio porto.
Anche le labbra della donna contro
il ricevitore, anche quelle.
Le sue labbra arricciate.


Tratto da: Orientarsi con le stelle. Tutte le poesie, trad. Riccardo Duranti, minimum fax 2006.

Immagini dai nostri Cafè Philo





domenica 23 gennaio 2011

Niente di dio

http://valterbinaghi.wordpress.com
Dopo che lei l’ebbe lasciato in un modo così meschino (rivolle indietro i suoi regali, le sue lettere, la vestaglia che teneva a casa di lui), l’Amante non volle nemmeno prendere in considerazione l’ipotesi di cercarsi un’altra donna. Non provava rancore, solo un’immensa tristezza. Questi fuochi che non durano, queste tenerezze interessate. Nessun essere umano gli pareva ormai capace di corrispondere a quell’infinito desiderio d’amore che la natura aveva posto nel suo cuore, come un lungo lamento inascoltato. Così, pensò che solo in Dio il suo cuore potesse trovare riposo, e si mise alla sua ricerca.
Lasciò le città sature di chiacchiera inconcludente, attraversò campagne rigogliose e aspre foreste, finché giunse in prossimità delle montagne. Lassù, molto vicino al cielo, non è forse lassù che gli antichi padri della fede avevano visto Dio faccia a faccia?
Alzò lo sguardo, e vide tre cime che si ergevano sopra gli altri rilievi, irte e appuntite come frecce in procinto di lanciarsi nell’azzurro. Lì nei pressi, un pastore anziano sedeva con intorno il suo gregge lanuto e belante.
- Dici che lo trovo, Dio, lassopra? – chiese l’Amante.
Il pastore si mise a ridere: – Ah, se non lo trovi lassopra non lo trovi più. – disse: – E poi, ce n’è altri due sai? che hanno avuto la stessa idea. Uno sulla cima di sinistra, uno sulla cima di destra. La cima al centro è rimasta libera –
La salita fu impervia, e l’ultimo tratto di arrampicata gli costò unghie rotte ed escoriazioni in tutto il corpo, ma alla fine era arrivato. Il silenzio era così completo, l’aria così pura. Sedette con la schiena appoggiata a un macigno e si addormentò.
Il mattino dopo si svegliò ed ebbe fame, ma non aveva portato con sè che poche gallette (non aveva dubbi che Dio venendo ad incontrarlo, gli avrebbe portato tutto ciò di cui aveva bisogno, come la manna agli Ebrei nel deserto). Mangiò quelle, e bevve sciogliendo un po’ di neve nel cavo della mano (di quella ce n’era in abbondanza).
Ma dopo qualche ora ebbe fame di nuovo, e più del suo stomaco fu il suo cuore inquieto a proprompere in un grido: – Dio! Dio! – gridò. E l’eco della sua voce si propagò negli spazi, in un modo così fragoroso che finì per spaventarlo.
Ma subito, un’altra voce gli giunse dalla cima di destra: – Che vuoi da Dio? –
Con tutte le sue forze urlò di rimando: – Amore voglio. Darne ed averne. Sei tu Dio? –
- No – rispose l’altro – Ma anch’io lo cerco. Sono il guerriero, sono il Potente. E quando lo troverò dovrà darmi conto della missione impossibile che mi ha affidato. Ho percorso tutta la terra per imporre la sola Legge. Ho tagliato più teste che spighe di grano, ma ogni volta rispuntavano a decine, a centinaia, i ribelli. Imporre l’ordine a ciò che non smette di crescere e moltiplicarsi, è assurdo! Così ho rinunciato e sono venuto qui. Dio! Dio! Perchè hai fatto di me un fallito? -
- Dunque non lo sai? La Legge è scaduta nel mondo, la guerra è finita. Non c’è che pace e indifferenza in città. Puoi pure scendere dalla montagna: nessuno ti chiamerà fallito –
Poi l’Amante si voltò verso l’altra cima: – Dio! Dio! Rispondimi se ci sei! –
E dalla cima di sinistra una voce diversa gli rispose – Non sono Dio, ma anch’io lo cerco! E quando l’avrò trovato, dovrà rendermi conto del mostruoso fardello che mi ha affidato. Sono l’eletto, sono il Sapiente. Custodisco la parola verace che mi affidò tanto tempo fa, e da allora ognuno mi insegue per carpirmela. Sono la vittima designata di ogni turbolenza, sono l’esule e il fuggitivo. Dio! Dio! Perchè hai fatto di me una preda? –
L’Amante gli rispose: – Allora non sai niente? La caccia è finita, niente di prezioso si va più a cercare, perchè ogni uomo ha il suo tesoro adesso, e lo chiama libertà. Puoi pure scendere dalla montagna: nessuno ti avvicinerà più per derubarti –
E anche l’Amante s’incamminò per scendere dalla sua cima, persuaso che nient’altro che quelle tre voci avrebbe udito in quelle altezze.
Si ritrovarono tutti e tre, il Potente, il Sapiente e l’Amante, alla fine del sentiero, dove il vecchio pastore sedeva con le sue pecore, e li guardò sorridendo: – Allora – disse – avete poi trovato Dio? –
Il Potente scosse il capo: – Lassù Dio non c’è. E se non c’è lassù, non c’è in altro luogo –
Il Sapiente annuì: – Niente altro che la nostra voce abbiamo udito –
L’Amante concluse – Dio è niente. Questa è la verità –
Il pastore sorrise, di nuovo: – Niente, tra l’una e l’altra voce. Niente, se non l’eco che conduce parole. Niente di questo, niente di quello, perchè questo e quello siano –
E li guardò andare, il Potente, il Sapiente e l’Amante, insieme sul sentiero.
Racconto di Valter Binaghi

giovedì 20 gennaio 2011

La cosa che mi piace di più (...un viaggio all'interno della caverna platonica)

Apro il cartone facendo attenzione a non strapparlo di lato e a non tagliarmi. Me lo infilo come una maglia molto larga e riesco a farci uscire solo la testa con i miei ricci ben cotonati. Ogni giorno così, passo il mio tempo prima che mi chiamino per andare a scuola o per il pranzo.
Mi infilo la mia armatura e non rispondo a chi mi chiede cosa faccio. Metto dentro anche la testa con tutti i ricci e sento gli odori che ci sono. I cartoni più interessanti sono quelli degli alimentari, in cui dentro si mischia l'odore del caffè, che io non posso bere, con quello dei biscotti che mangio a colazione, marmellata e cioccolato. Ogni tanto non capisco qualche odore e non mi è mai capitato di riconoscere i miei succhi di frutta. Ma la cosa che mi piace di più, quando sto nel mio cartone e nessuno passa, è farci le puzzette, mettendo subito la testa dentro. Le mie puzzette battono tutto e nella scatola me le posso godere.
Una volta ci ho fatto la pipì. Con un pezzo del cartone come un tubo per farla scivolare fuori dalla scatola. Inginocchiato con la testa sotto, iniziai a fare la pipì, frettoloso e nervoso. La lasciai scorrere, ma presto il colore del tubo diventò più scuro e si ammollò.
Da quel giorno ho capito che la mia pipì non è così veloce ad andarsene e sgocciolando mi è caduta sulle gambe. L'odore era forte e cattivo e mi sentivo appiccicoso.
Il cartone mi piace, mi piace passarci la mano e toccare le pieghe. Con una penna oggi ho fatto due fori cerchiandoli con forza, grossi come una mela, per infilarci le braccia. Così mi sento un po' dentro e un po' fuori e posso battere con le dita sui fianchi per fare una musica suonata tutta per me. Se mi metto seduto e guardo in alto, riesco a vedere sulla mia testa tutto quello che passa come dentro un televisore. Vedo papà che mi saluta prima di rientrare a casa, il sorriso di nonna che mette la testa dentro e mi chiede qualcosa, quasi sempre non sento le voci ma vedo solo le smorfie delle loro facce. Vedo le nuvole, che piano piano si chiudono sulla mia scatola e diventano nere. Vedo la pioggia che scende, e mentre mamma mi chiama perché non devo bagnarmi, apro la bocca per sentirla sulla lingua. non ho mai bevuto la pioggia fuori dal cartone come non ho fatto altre cose, perché fuori non si possono fare.

di Gianni Porcari

Da Rivista “O”  www.omero.it

sabato 15 gennaio 2011

Il tempo e/è l'acqua

Ho sempre aderito all'idea che Dio sia tempo, o almeno che lo sia il Suo spirito. Magari era un'idea mia, di mia fabbricazione, ma adesso non ricordo. In ogni caso ho sempre pensato che se lo spirito di Dio aleggiava sopra la faccia dell'acqua, l'acqua non poteva non rifletterlo. Da qui il mio debole per l'acqua, per le sue pieghe, rughe, increspature e  - poiché sono un nordico - per il suo grigiore. Penso, molto semplicemente, che l'acqua sia l'immagine del tempo, e la notte di Capodanno, con un gusto un po' pagano, cerco sempre di trovarmi vicino all'acqua, possibilmente davanti a un mare o a un oceano, per assistere all'affiorare di una nuova porzione, di un'altra tazza di tempo. Non cerco  una sirenetta nuda a cavallo di una conchiglia - voglio vedere una nuvola o la cresta di un'onda che lambisce la riva a mezzanotte. Questo, per me, è tempo che esce dall'acqua,  e quando fisso il lungo pizzo che depone sulla spiaggia non lo guardo con la curiosità di una zingara sapiente ma con tenerezza e gratitudine.

 Così ho messo gli occhi su questa citta (Ndr. Venezia): questo è il come, e nel mio caso il Perché. Non c'è nulla di freudiano in questa fantasia, o nulla che si ricolleghi specificamente ai cordati, anche se, non c'è dubbio, si potrebbe scoprire qualche nesso evoluzionistico - se non proprio ancestrale - o autobiografico tra il disegno che un'onda lascia sulla sabbia e lo sguardo con cui l'osserva un discendente dell'ittiosauro, un altro mostro anche lui. Il pizzo verticale delle facciate veneziane è il più bel disegno che il tempo - alias- acqua abbia lasciato sulla terraferma, in qualsiasi parte del globo.
In più esiste indubbiamente una corrispondenza  - se non un nesso esplicito -tra la natura rettangolare delle forme di quel pizzo - ossia degli edifici veneziani - e l'anarchia dell'acqua, che disdegna la nozione di forma. È come se lo spazio, consapevole - qui più che in qualsiasi altro luogo - della  propria inferiorità rispetto al tempo, gli rispondesse con l'unica proprietà che il tempo non possiede: con la bellezza. Ed ecco per ché l'acqua prende questa risposta, la torce, la ritorce, la percuote, la sbriciola, ma alla fine la porta pressoché intatta verso il largo, nell'Adriatico.

Josif  Brodskij Fondamenta degli Incurabili, Adelphi

venerdì 14 gennaio 2011

Café Philo: Contribuiamo certamente al PIL, ma quanto al BIL?





Un individuo che per scaldare la propria abitazione usa la legna del proprio bosco, ma ha meno soldi di un individuo che scalda il proprio appartamento in città pagando una bolletta per la fornitura di gas, non sarebbe più povero se i rifornimenti di gas venissero improvvisamente a mancare.
Un individuo che coltivi e consumi frutta e verdura del proprio orto, non avrebbe nessuna ripercussione economica in seguito ad un aumento de...i prezzi di frutta e verdura. E' un fenomeno culturale: siamo stati abituati nel tempo a comprare tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Le nuove schiavitù, da "super-lavoro", da "carriera-lavoro", da "doppio-lavoro", sono tutte assetate di tempo che viene sistematicamente rubato a dimensioni altrettanto umane e necessarie per la persona. Inoltre contribuiscono a sottrarre lavoro a quanti lo cercano o a quanti sono soggetti ad una eccessiva flessibilità che rende precaria e talvolta impossibile una vita equilibrata e può avere pesanti ripercussioni sulla percezione unitaria della propria esistenza. Le persone hanno dimenticato che il tempo, dono di Dio, ci è stato concesso per essere migliori con gli altri e per gli altri. Non possiamo dimenticare di impiegarlo per le attività sociali, politiche, culturali; per fare volontariato, per praticare sport, per la cura fisica e spirituale della nostra persona. Come riuscire a passare dalla cultura del PIL (Prodotto Interno Lordo) alla cultura del BIL (Benessere Interno Lordo)?


Evento gratuito aperto a tutti.



Dove e quando?
19 January · 20:30 - 23:00
Spazio dell'Anima - Via Carlo Denina 72

mercoledì 12 gennaio 2011

La Zuppa di Pietra

Era tempo di carestie, tutti avevano poco da mangiare e quello che avevano lo serbavano con estrema attenzione.
Capitò che un mendicante si trovasse a passare per quelle terre, e già aveva attraversato numerosi villaggi eppure non era riuscito a racimolare nemmeno un tozzo di pane.
Ormai affamato e stanco, quando l'ennesimo gruppo di case gli apparse in lontananza si fermò in mezzo alla strada e raccolse una pietra; si mise allora a sfregarla contro un lembo della giacca finché non l'ebbe ripulita dalla terra, e poi riprese il cammino.
Quando arrivò alla piazza del paese si diresse verso una vecchia che stava cucendo sulla porta di casa.
-Scusate, posso chiedervi se avete da mangiare? - chiese.
E già la vecchia aveva cominciato ad urlargli di andarsene quando lui la interruppe:
-Non avete capito. Non vi sto chiedendo di darmi qualcosa. Sono io che vorrei offrirvi una buona zuppa, visto che ho con me tutto il necessario per farla e temo che voi non abbiate molto da mangiare.
-Mi volete prendere in giro? - rispose lei – Non avete nulla con voi, lo vedo benissimo.
-Quella che vorrei preparare è una zuppa di pietra, e quello che mi serve è tutto qui, vedete? - Disse mostrandole il sasso che teneva in mano. – È buonissima, ma per farla mi occorrerebbe un paiolo, e magari dei pezzi di legno per accendere il fuoco.
Alla donna non sembrava vero di poter finalmente mangiare qualcosa di sostanzioso, e così corse di filato a procurare pentola e ciocchi di legno.
Nella pentola venne messa la pietra e l'acqua della fonte. Poi fu acceso il fuoco e il mendicante cominciò a rimestare.
Incuriositi, mano a mano iniziavano ad avvicinarsi gli abitanti del paese.
- Cosa sta facendo? – chiedevano.
- Cucina una zuppa di pietra! Pare sia buonissima! – rispondeva chi era lì già da un po'.
Il mendicante continuava a girare il mestolo e ogni tanto se lo portava alla bocca schioccando la lingua sul palato in segno d'approvazione.
- Com'è? Come sta venendo? – gli chiedevano.
- Buonissima, ottima per davvero – rispondeva il mendicante. - Mancherebbe giusto un tocco di sale, e del pepe anche.
- Li ho io! - fece uno che stava alle sue spalle, correndo verso casa a prenderli.
E sale e pepe vennero aggiunti.
- Allora, come viene? - chiedevano ancora.
- Buona, buona! Solo... ecco, per farla davvero gustosa si dovrebbero aggiungere un paio di patate.
- Io ne ho, vado subito a prenderne – disse una donna.
E anche le patate finirono nel calderone.
- Ma non è ancora pronta?
- Pazientate ancora un poco – rispose il mendicante dopo essersi portato il mestolo alla bocca per l'ennesima volta. - Ci siamo ormai, la pietra è quasi cotta. Anche se perché finisca di cuocere bene servirebbero delle carote.
- Bastava dirlo! - fece uno col cappello in testa. E di lì a un niente fu di ritorno con un mazzo di carote in mano.
Il mendicante continuava a girare la zuppa, e iniziava a sentirsi nell'aria un odorino che faceva gorgogliare le pance. - Ecco, - disse - ci siamo! Mancherebbe giusto un osso per darle ancora più sapore.
- Io ne avrei uno – rispose una voce. – Ma attaccato c'è ancora un po' di carne che serbavo per stasera...
- Andrà bene lo stesso – rispose il mendicante sorridendogli.
Anche l'osso venne aggiunto, e ormai tutto il paese profumava della zuppa che finiva di cuocere.
- Bene, è pronta! – disse il mendicante.
Tutti corsero a casa a prendere una scodella, e ognuno l'ebbe riempita.
Per ultima il mendicante riempì la sua, e una volta che ebbe finito di mangiare recuperò la pietra dal fondo del paiolo e se ne andò, silenzioso com'era venuto. Gli abitanti del villaggio nemmeno se ne accorsero, intenti com'erano a mangiare e chiacchierare e scherzare tra loro, in un clima di festa come non si vedeva da tempo. Se ne resero conto solo ore dopo, quando lo cercarono per chiedergli di lasciare loro la pietra: se l'avessero avuta non ci sarebbero stati mai più problemi di fame nel paese!
Ma ormai era andato e non se ne vedeva più traccia. L'unica cosa che poterono fare fu di continuare a raccontarsi per molto tempo di quella fantastica zuppa, e che peccato non avere la pietra per poterla rifare!


Storia raccolta e narrata da Ilaria Mezzogori

domenica 9 gennaio 2011

Spazi dell'anima: stanno per chiudere le iscrizioni 2010/ 2011 al corso di Filosofia!

Elio Rindone, dopo un’introduzione sulle ragioni e sul significato della ricerca filosofica, ci aiuterà a confrontarci con i protagonisti dell’affascinante storia del pensiero antico per rileggerne le tesi di maggiore interesse e ritrovarne tutta l’attualità.

Il corso prevede 36h/aula divise in 3 moduli di 12 h ciascuno. L'inizio è previsto il  18 gennaio 2011 per continuare ogni martedì dalle 18,00 alle 19,30 presso la sede dell'associazione culturale Spazi dell'anima in Via Carlo Denina, 72 (Roma).
La quota è di 100 euro per ogni modulo + quota associativa annuale.
Il corso è consigliato a tutti ma è a numero chiuso (fino a un massimo di 10 partecipanti).
Le iscrizioni scadono questa settimana!
Ecco il programma del corso:



1° Modulo
- Che significa ‘filosofare’?
- Dalla narrazione mitologica al pensiero filosofico
- Di cosa si occupa la ricerca filosofica?
- La concezione della Natura presso i primi pensatori greci
- Con i Sofisti l’interesse dei filosofi si concentra sull’uomo
2° modulo
- Socrate e il senso della vita
- Platone: la vera realtà è immateriale
- Aristotele: la rivalutazione del mondo terreno
3° modulo
- La centralità del problema morale nell’età ellenistica
- Gli stoici e la virtù
- Gli epicurei e il piacere
- Gli scettici e il dubbio
- Plotino e la nuova spiritualità

Per informazioni:
www.spazidellanima.it
www.scuolapopolaredifilosofia.blogspot.com
info@spazidellanima.it
+ 3357801665


mercoledì 5 gennaio 2011

Amicizia

Eravamo amici e ci siamo diventati estranei. Ma è giusto così e non vogliamo dissimularci e mettere in ombra questo come se dovessimo vergognarcene. Noi siamo due navi, ognuna delle quali ha la sua meta e la sua rotta; possiamo benissimo incrociarci e celebrare una festa tra noi, - come abbiamo fatto - allora i due bravi vascelli se ne stavano così placidamente all'àncora in uno stesso porto e sotto uno stesso sole che avevano tutta l'aria di essere già alla meta, una meta che era stata la stessa per tutti e due. Ma proprio allora l'onnipossente violenza del nostro compito ci spinse di nuovo l'uno lontano dall'altro, in diversi mari e zone di sole e forse non ci rivedremo mai - forse potrà darsi che ci si veda, ma senza riconoscersi: i diversi mari e i soli ci hanno mutati! Che ci dovessimo diventare estranei è la legge incombente su di noi: ma appunto per questo dobbiamo ispirarci una maggiore venerazione! Appunto per questo il pensiero della nostra trascorsa amicizia deve diventarci più sacro! Esiste verosimilmente un'immensa invisibile curva e orbita siderale, in cui le nostre diverse vie e mete potrebbero essere intese quali esigui tratti di strada, innalziamoci a questo pensiero! Ma la nostra vita è troppo breve, troppo scarsa la nostra facoltà visiva per poter essere qualcosa di più che amici nel senso di quell'elevata possibilità. - E così vogliamo credere alla nostra amicizia stellare, anche se dovessimo essere terrestri nemici l'un l'altro".[da Nietzsche, La gaia scienza, § 279, trad. it. di F. Masini, Adelphi, Milano 1995]

lunedì 3 gennaio 2011

Niente esiste

Quando era un giovane studente di Zen, Yamaoka Tesshu andava sempre a trovare tutti i maestri. Andò a far visita a Dokuon di Shokoku.
Volendo mostrare la sua preparazione, disse: «La mente, Buddha e gli esseri senzienti, in fondo, non esistono. La vera natura dei fenomeni è il vuoto. Non c'è nessuna realizzazione, nessuna illusione, nessun saggio, nessuna mediocrità. Non c'è nessuno che dia e niente che si riceva».
Dokuon, che stava fumando in silenzio, non fece commenti. Tutt'a un tratto colpì Yamaoka con la sua pipa di bambù. Questo fece arrabbiare moltissimo il giovane.
«Se niente esiste,» domandò Dokuon «da dove viene questa tua collera?».
(Da 101 storie zen)