lunedì 25 luglio 2011

Geografia della vita

Non si può esplorare dall'alto. Se si potesse esplorare dall'alto la vita sarebbe molto semplice […]. Quando moriamo conteniamo una ricchezza di amanti e di tribù, di sapori che abbiamo inghiottito; di corpi in cui ci siamo immersi ed abbiamo nuotato, come in fiumi di saggezza, di personaggi su cui ci siamo arrampicati come su alberi, di paure in cui ci siamo nascosti come dentro caverne. Spero che tutto ciò sia segnato sul mio corpo quando sarò morto. Credo in questa cartografia, nell'essere segnati dalla natura, non soltanto per darci un nome su una carta geografica, come i nomi dei ricchi scolpiti sugli edifici. Siamo storie comuni, libri comuni. [...] Tutto ciò che desideravo era camminare su una terra che non aveva carte geografiche.

Ondaatje M., Il paziente inglese, Garzanti, Milano, 1993.

martedì 19 luglio 2011

Il re di spagna

C'era un re spagnolo che era molto orgoglioso della sua stirpe. Era anche conosciuto per essere crudele con quelli più deboli. Un giorno stava camminando con i suoi anziani consiglieri in un campo in Aragona, dove, anni prima, suo padre era caduto in battaglia. Lì incontrarono un sant'uomo, che stava raccogliendo una enorme mucchio di ossa. "Cosa stai facendo?" chiese il re. "Onore a Sua Maestà" disse il sant'uomo. "Quando ho saputo che il re di Spagna sarebbe venuto qui, ho deciso di ritrovare le ossa di suo padre per dargliele. Ma per quanto cerchi, non riesco a trovarle. Sono uguali a quelle dei contadini, dei poveri, dei mendicanti e degli schiavi".

Paulo Coelho, I racconti del maktub

L’uguaglianza tra gli uomini di Anthony de Mello

“Tutti gli esseri umani sono ugualmente buoni o cattivi”, disse il maestro, che non amava usare tali etichette.
“Come puoi mettere un santo allo stesso livello di un peccatore?” protestò un discepolo.
“Sono tutti e due alla stessa distanza dal sole. La distanza diminuisce davvero se vivi in cima a un grattacielo?”.

Il 20 luglio dalle 20,00 allo Spazio dell'anima il 3° incontro di Filosofia in Giardino. Il tema sarà: Uguaglianza.

"Les hommes naissent et demeurent libres et égaux en droits (Gli uomini nascono e rimangono liberi e uguali nei diritti), è così che inizia la prima Dichiarazione del diritti dell'uomo e del cittadino del 1789.

"Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese", recita l'articolo 3 della Costituzione Italiana.

In “Il disagio della civiltà Freud scrive:"Una buona parte degli sforzi dell’umanità si infrange sullo scoglio di trovare un accomodamento vantaggioso (cioè che dia felicità) tra le pretese individuali e quelle civili collettive; uno dei fatali problemi dell’umanità è se questo accomodamento sia raggiungibile in qualche particolare forma assunta dalla civiltà o se il conflitto sia inconciliabile”.

E' questo l'interrogativo ambizioso sul quale proveremo a riflettere nel nostro terzo incontro di Filosofia in giardino, allo Spazio dell'anima mercoledì 20 luglio prossimo.

lunedì 18 luglio 2011

Racconto di Uno di Erri De Luca



Da giorni prima di vederlo il mare era un odore
Un sudore salato, ognuno immaginava di che forma.
Sarà una mezza luna coricata, sarà come il tappeto di preghiera,
sarà come i capelli di mia madre.
Beviamo sulla spiaggia il tè dei berberi,
cuciniamo le uova rubate a uccelli bianchi.
Pescatori ci offrono pesci luminosi,
succhiamo la polpa da scheletri di spine trasparenti.
L’anziano accanto al fuoco tratta con i mercanti
Il prezzo per salire sul mare di nessuno.

(…)

Notte di pazienza, il mare viaggia verso di noi,
all’alba l’orizzonte affonda nella tasca delle onde.
Nel mucchio nostro con le donne in mezzo
Un bambino muore in braccio alla madre.
Sia la migliore sorte, una fine da grembo,
lo calano alle onde, un canto a bassa voce.
Il mare avvolge in un rotolo di schiuma
La foglia caduta dall’albero degli uomini.

(...)

Vogliono rimandarci, chiedono dove stavo prima,
quale posto lasciato alle spalle.
Mi giro di schiena, questo è tutto l’indietro che mi resta,
si offendono, per loro non è la seconda faccia.
Noi onoriamo la nuca, da dove si precipita il futuro
che non sta davanti, ma arriva da dietro e scavalca.
Devi tornare a casa. Ne avessi una, restavo.
Nemmeno gli assassini ci rivogliono.
Rimetteteci sopra la barca, scacciateci da uomini,
non siamo bagagli da spedire e tu nord non sei degno di te stesso.
La nostra terra inghiottita non esiste sotto i piedi,
nostra patria è una barca, un guscio aperto.
Potete respingere, non riportare indietro,
è cenere dispersa la partenza, noi siamo solo andata.

(...)

Faremo i servi, i figli che non fate,
nostre vite saranno i vostri libri d’avventura.
Portiamo Omero e Dante, il cieco e il pellegrino,
l’odore che perdeste, l’uguaglianza che avete sottomesso.



Erri De Luca “Solo Andata righe che vanno troppo spesso a capo", Feltrinelli


giovedì 14 luglio 2011

Salamandre

Una salamandra non sospetta nulla della screziatura gialla e nera che porta sul dorso. Non sa che quelle macchie si dispongono in due minute catenelle o si fondono in un’unica stria compatta a seconda dell’umidità della sabbia, della tappezzeria allegra o luttuosa del terrario

Ma l’uomo, salamandra pensante, indovina che tempo farà il giorno dopo pur di essere lui a decidere delle proprie tinte.

Osip Mandel’štam,  Viaggio in Armenia, a cura di Serena Vitale, Adelphi, Milano, 2010

lunedì 4 luglio 2011

Un uomo libero

Un uomo libero, scrive Brodskij, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno».

E viene in mente il discorso che il poeta Aleksanrd Blok aveva fatto in occasione di non so più che anniversario della morte di Puškin, causata dal duello di Puškin con D’Anthès, quando Blok aveva detto che Puškin non era morto per il proiettile di D’Anthès, era morto per mancanza d’aria.

Ecco, io, sarò molto pessimista, da un lato, ma noi c’è il rischio che finiamo così, che moriam soffocati, mi sembra.

A me, da un lato, delle volte mi vien da pensare che noi siamo tutti impastati di sonno, non siam più capaci di fare niente, neanche di aver dei pensieri nostri, o di distinguere i nostri dagli altri, e che anche se ci riuscissimo, con un gran sforzo, per un attimo, sarebbe probabilmente inutile. Cioè il mondo comunque andrebbe per conto suo e noi non avremmo nessuna possibilità non solo di mettere in discussione l’andiamo del mondo, neanche di dare il minimo fastidio. Ecco. E allora uno potrebbe pensare, e allora non bisogna far niente? No. A me, in questi casi, di solito, quando penso queste cose, mi torna in mente un passo del Cyrano di Bergerac, di Rostand.

Cosa dite? È inutile? Lo so. Ma non ci si batte nella speranza del successo. So bene che alla fine mi metterete sotto; non importa. Io mi batto, io mi batto, io mi batto.

E se poi devo perdere, come sarà, probabilmente, mi sembra che abbia ragione Brodksij, quando dice, nel 1987, in un discorso tenuto a Vienna che si intitola La condizione che noi chiamiamo Esilio: «Comunque, se vogliamo avere una parte più importante, la parte dell’uomo libero, allora dobbiamo essere capaci di accettare, o almeno di imitare, il modo in cui un uomo libero è sconfitto. Un uomo libero, scrive Brodskij, quando è sconfitto, non dà la colpa a nessuno».
E in un altro discorso, celebre, il discorso in occasione del Nobel per la letteratura che gli hanno assegnato, Brodskij scrive «Il compito di un uomo, si tratti di uno scrittore o di un lettore, sta prima di tutto nel vivere una vita propria, di cui sia padrone, non già una vita imposta o prescritta dall’esterno, per quanto nobile possa essere all’apparenza».

La lingua e, presumibilmente, la letteratura, sono cose più antiche e inevitabili, più durevoli di qualsiasi forma di organizzazione sociale. Il disgusto, l’ironia o l’indifferenza che la letteratura esprime spesso nei confronti dello Stato sono in sostanza la reazione del permanente – meglio ancora, dell’infinito – nei confronti del provvisorio, del finito. Un sistema politico, una forma di organizzazione sociale, è per definizione una forma del passato remoto che vorrebbe imporsi sul presente (e spesso anche sul futuro); e chi ha fatto della lingua la propria professione è l’ultimo che possa permettersi il lusso di dimenticarlo. Il vero pericolo per uno scrittore non è tanto la possibilità (e non di rado la realtà) di una persecuzione da parte dello Stato, quanto la possibiltà di farsi ipnotizzare dalla fisionomia dello Stato, una fisionomia che può essere mostruosa o può cambiare verso il meglio ma è sempre provvisoria. La filosofia dello Stato, la sua etica, per non dire la sua estetica, scrive Brodskij, sono sempre ieri. La lingua e la lettatura sono sempre oggi e spesso domani. Ai tempi di Pushkin, Pushkin veniva considerato uno strampalato, uno a cui piacevan e donne, ero oggetto di scherno, da parte dei suoi stessi amici, lo zar gli aveva dato una onorificenza che si dava di solito ai ragazzi di quindici anni, e lo voleva obbligare a andare in giro con quell’uniforme lì, da quindicenne. Ecco oggi nessuno in Russia si ricorda, per fortuna di Nicola I, i documenti ufficiali firmati da Nicola I, la falsità delle sue convinzioni, l’arbitrarietà del suo governo, il suo amore per le caserme e per le punizioni corporali, la sua refrattarietà alla cultura; sono cose consegnate agli storici, sono: ieri, sono: passato remoto.
Ma quasi tutti, in Russia, dal muratore al professore universitario, oggi conoscono, citano, leggono, ricordano, le parole di Puskin, che rivivono sulle loro labbra, pensano, con le parole di Puskin, che sono parole pesanti come le pietre ed erano, e sono: domani; erano e sono: futuro.
Qualcuno di voi si ricorda chi governava in Spagna quando Cervantes scriveva Il don chisciotte? O a Venezia quando Goldoni scriveva La locandiera? O a Londra quando Shakespeare scriveva L’Amleto? O ad Amsterdam quando Erasmo da Rotterdam scriveva L’elogio della Follia?
Io non me lo ricordo. E mi sembra che questa regola, che è evidente per il passato, valga anche per il presente.

Quelli che si illudono di governarci, siano essi dei dittatori o dei presidenti democraticamente eletti, se noi facciamo quella scelta lì di cui parlava Brodskij, la scelta di vivere una vista nostra, non hanno su di noi nessun potere.
Può darsi che saremo sconfitti, ma, se cercheremo di fare la parte degli uomini liberi, come dice Brodskij, non sarà colpa loro, sarà colpa nostra.

Perché la nostra anima immortale, se c’è, come fanno a tenere prigioniera la nostra anima immortale?

I governi, a pensarci, sono piccoli, e non hanno nessuna possibilità di diventare grandi; noi, siamo piccoli anche noi, ma abbiamo la possibilità di diventare grandi. Ho finito.

Paolo Nori, Pubblici discorsi, www. paolonori.it

domenica 3 luglio 2011

Il 6 luglio 2011 allo Spazio dell'anima il 2° incontro di Filosofia in giardino. Il tema? Libertà

L'esperienza della libertà è comune a tutti gli esseri umani. Ciascuno di noi sperimenta nella propria vita sia la presenza che l'assenza di libertà.
Spesso ci lamentiamo della mancanza di libertà nella quale siamo costretti ma altrettanto spesso esitiamo e fatichiamo ad assumere scelte libere anche quando potremmo.
"Liberi di ....." o "liberi da ........."?
Difendiamo e ricerchiamo libertà di pensiero e di azione e ci interroghiamo sui vincoli posti dalla natura e dalle circostanze. E cosa dire a proposito dei limiti che tra esseri umani e cittadini - nel privato come nel pubblico - reciprocamente ci poniamo nel nostro vivere insieme? Sono stabili nel tempo, si muovono con la storia? Hanno a che fare con la natura o con l'educazione?
Nella Fondazione della metafisica dei costumi, Kant scrive: "La ragione deve quindi supporre che non c'è vera contraddizione tra libertà e necessità naturale delle azioni umane, perchè la ragione è così poco in grado di rinunciare al concetto di natura come lo è di rinunciare a quello di libertà".

Ci troviamo di fronte ancora una volta a un'esperienza comune che è anche un concetto di grande complessità il cui significato è dato per scontato e sul quale raramente ci fermiamo a riflettere. Diventa particolarmente importante, allora, tentare una rigorosa analisi dell'esperienza della libertà' e una ricognizione fenomenologica dei suoi tratti essenziali per poter accedere a una, seppur minima, analisi concettuale. Questa è l'ambizione che umilmente ci poniamo nell'incontro del 6 luglio di Filosofia in giardino.

Spazio dell’Anima - Via Carlo Denina, 72 – Dalle h. 20.00 per un piccolo aperitivo