mercoledì 4 marzo 2015

Diogene il Cinico, descritto da Diogene Laerzio


Interrogato in qual luogo dell'Ellade avesse visto uomini buoni, rispose: «Uomini buoni in nessun luogo, ragazzi buoni a Sparta». Una volta poiché nessuno badava ad un suo discorso serio, cominciò a trillare come un uccello. Convennero molte persone ed egli le rimproverò perché a sentir le ciarle erano venuti di buona lena, ma a sentir cose serie nessuno si era affrettato. Diceva che gli uomini gareggiano nel darsi stoccate a vicenda e nello spararsi calci l'un con l'altro, ma nessuno gareggia per diventare buono e nobile d'animo.

Si stupiva dei critici che andavano alla ricerca dei mali di Odisseo e ignoravano i propri, nonché dei musici, perché armonizzavano le corde della lira senza curarsi di ottenere l'armonia della loro anima. Si meravigliava dei matematici che guardavano al sole e alla luna e non vedevano la realtà sotto gli occhi, degli oratori che s’indaffaravano a predicare il giusto senza mai attuarlo, e dei retori che parlavano male degli avari, ma in realtà amavano il danaro all’esagerazione. Condannava anche coloro che, pur lodando i giusti perché erano al di sopra delle ricchezze, invidiavano tuttavia gli uomini molto ricchi. Lo muovevano a sdegno anche i sacrifici agli déi per la salute perché durante lo stesso sacrificio si banchettava a danno della salute”

http://laertius.daphnet.org/texts/Laertius/VI,27it

lunedì 16 febbraio 2015

Parassiti


Ne parlavano tutti così bene, mi è venuta voglia di sentire il messaggio al parlamento del nuovo presidente della repubblica, Sergio Mattarella, e ho cominciato a sentirlo e dopo un po’ m’è venuto in mente di quando ho fatto l’attore, nel 2007, che avevo un regista, Gigi Dall’Aglio, che mi ha fatto vedere che io avevo dei gesti parassiti, cioè gesti che vivevano su di me senza che me ne accorgessi e mi ha detto che in scena, quando recitavo, quei gesti parassiti li avrei dovuti eliminare. Dopo, a ripensare a quella cosa che mi aveva detto Dall’Aglio, mi sono accorto che quando parlavo, e quando scrivevo, davo voce a delle espressioni parassite, che vivevano su di me senza che me ne accorgessi, e in una cosa che ho scritto ho provato a farne una lista e ho trovato che se uno era ricco, era sempre sfondato, se aveva la barba, era sempre folta, se c’era un fuggi fuggi, era generale, se si parlava di acne, era giovanile, se c’eran delle tecnologie, eran nuove, se c’era un nucleo, era familiare, se c’era un’attesa, era dolce, se c’era una marcia, era funebre, oppure nuziale, se c’era un andirivieni, era continuo, se c’eran delle chiacchiere, erano oziose, se c’era un errore, era fatale, se c’era un delitto, era efferato, se c’era un’ impronta era indelebile e mi son detto che quando usavo queste espressioni a me sembrava di parlare, in realtà io non parlavo, ero parlato, cioè non dicevo quel che volevo dire io, dicevo quel che voleva dire la lingua (parassita). E in rete, su un sito dove ogni tanto scrivo delle cose (www.paolonori.it), con l’aiuto dei lettori del sito ho provato a allungare questa lista di espressioni parassite e ho trovato che se c’è un quadro, è allarmante, se c’è uno stupore, è infantile, se c’è uno sciopero, è generale, se c’è una folla, è oceanica, se c’è un lupo, è solitario, se c’è un cavallo, è di Troia, se c’è una botte, è di ferro, se c’è un terrorista, è islamico, se c’è un porto, è delle nebbie, se c’è un silenzio, è di tomba, se c’è un ombra, è di dubbio, se c’è una morsa, è del gelo, se c’è una resa, è dei conti, se c’è una verità, è sacrosanta, se c’è una salute, è di ferro, se c’è una svolta, è epocale, se c’è un genio, è incompreso, se c’è un ok, è del senato, se c’è uno sciame, è sismico, se c’è un consenso, è informato, se c’è un secolo, è scorso, se c’è una dirittura, è d’arrivo, se c’è un pallone, è gonfiato, se c’è un cervello, è in fuga, se c’è una repubblica, è Ceca, se c’è un battesimo, è del fuoco, se c’è un dispiacere, è vivo, se c’è un carattere è cubitale. E nel discorso del presidente della repubblica, Sergio Mattarella, nei primi minuti, se c’era un saluto, era rispettoso, se c’era un pensiero, era deferente, se c’era un momento, era difficile, se c’era una carta, era fondamentale, se c’era un consiglio, era superiore (e della magistratura), se c’era un’unità, era nazionale, se c’era una prova, era dura, se c’era un’unione, era europea, se c’eran dei diritti, eran fondamentali, se c’era un popolo, era italiano, se c’era un bene, era comune, se c’era un capo, era dello stato, se c’era un garante, era della costituzione, se c’era un arbitro, era imparziale, e lì mi sono fermato e mi sono chiesto “Ma come mai, ne han parlato tutti così bene?”. 

Paolo Nori 

mercoledì 4 febbraio 2015

Inannoiabilità



Ho imparato che il mondo degli uomini così com’è oggi è una burocrazia. È una verità ovvia, certo, per quanto ignorarla provochi grandi sofferenze. Ma ho anche scoperto, nell’unico modo in cui un uomo impara sul serio le cose importanti, la vera dote richiesta per fare strada in una burocrazia. Per fare strada sul serio, dico: fai bene, distinguiti, servi. Ho scoperto la chiave. La chiave non è l’efficienza, o la rettitudine, o l’intuizione, o la saggezza. Non è l’astuzia politica, la capacità di relazione, la pura intelligenza, la lealtà, la lungimiranza o una qualsiasi delle qualità che il mondo burocratico chiama virtù e mette alla prova. La chiave è una certa capacità alla base di tutte queste qualità, più o meno come la capacità di respirare e pompare il sangue sta alla base di tutti i pensieri e le azioni. La chiave burocratica alla base di tutto è la capacità di avere a che fare con la noia. Di operare efficacemente in un ambiente che preclude tutto quanto è vitale e umano. Di respirare, per così dire, senz’aria. La chiave è la capacità, innata o acquisita, di trovare l’altra faccia della ripetizione meccanica, dell’inezia, dell’insignificante, del ripetitivo, dell’inutilmente complesso. Essere, in una parola, inannoiabile. Ho conosciuto, tra il 1984 e l’85, due uomini così. È la chiave della vita moderna. Se sei immune alla noia, non c’è letteralmente nulla che tu non possa fare.


David Foster Wallace, Il re pallido, Einaudi, 2011

giovedì 15 gennaio 2015

Fondata sul lavoro


“L’Italia è una repubblica democratica fondata sul lavoro”: ma bravi! Dicesse almeno sulla bontà, sull’intelligenza o che so io. Sul lavoro: che non è neppure un che ma un mezzo e per di più un mezzo inteso come indispensabile (benché non sia punto vero). Come dire: l’uomo è un essere fondato sulla necessità di mangiare e su quella di andare al gabinetto. Fondata su un mezzo indispensabile, cioè sulla schiavitù (e di fatto…)! Beh, ciò che i primi legislatori intendono lo capisco perfino io, che chiudo la mia mente alle bestialità pubbliche, ma non potevano essi almeno risparmiarci una tale stolta formulazione? “L’Italia è una repubblica democratica”, non sarebbe stato fin troppo, ahi quanto troppo? E i posteri? figuriamoci le loro risate: codesti nostri beneamati progenitori non avevano nulla di più nobile su cui fondare le loro repubbliche? (Anche se non saranno meno stolti nel redigere le costituzioni delle loro re-private)… Questa della Costituzione italiana è davvero la formula riassuntiva di alcune sciagurate ideologie. E del resto i magni si mettano d’accordo con se medesimi, poiché in pari tempo predicano la dignità del lavoro e, più esplicitamente, la redenzione da esso: donde si ricava ciò che tutti sanno, che il lavoro è cosa di per sé indegna.

Tommaso Landolfi, Rien Va Biblioteca Adelphi 1998, 2ª ediz. Letteratura italiana