giovedì 24 maggio 2012

Lo sguardo di Valentine


Ecco un dipinto del pittore svizzero Ferdinand Hodler.

Quando tempo fa mi è cascato sotto agli occhi, grande è stato il mio disinteresse: un paesaggio spoglio e convenzionale, esteticamente scialbo, ancor più se considerata la data d’esecuzione, 1915. All’epoca c’erano già le avanguardie, i collages, il cubismo e sulla Svizzera stava per abbattersi la tempesta dada che spazzerà via l’idea di arte in voga sin dal Rinascimento. (...)

Per caso o per serendipità qualche settimana fa ritrovo lo stesso dipinto. Identico il mio sentimento di sufficienza, ma questa volta guardo meglio e leggicchio qualcosa. È così che Coucher de soleil sur le lac Léman (conservato al Kunsthaus di Zurigo) diventa uno dei paesaggi più straordinari, potenti e toccanti che conosca.

(...)

25 gennaio 1915, cinque del pomeriggio, davanti a Hodler il lago Lemano, alle sue spalle Valentine. Non emette più alcun suono inarticolato, che della vita costituiva perlomeno il disco rotto. “Valentine non c’è più” si dice Hodler, ma questa frase non genera sofferenza. Il dolore, lungi dall’essere istintivo e irriflesso, dal lacerare con un colpo di sferza il tessuto emotivo, è un lungo esercizio e verrà con il tempo e con la memoria, con un amalgama di abbandono, lucidità, lâcher prise. L’evento traumatico è ora differito. Valentine non è più in quel corpo, in quel letto, in quella stanza. Hodler non sa se è possibile fare un ritratto di questa “cosa” che era Valentine, di questa “cosa” dentro cui c’era Valentine, non sa se questa “cosa” porta ancora il suo nome o se questo nome è ormai solo il brusio dell’esistenza senza esistente. Per tre mesi l’ha dipinta a letto, il suo sguardo fisso su di lei. Un modo per trascorrere il tempo, ma anche per prendere le distanze dalla malattia e dalla morte, per frapporre tra lui e l’amata una superficie vuota da riempire, la texture spianata della tela che rimuove la pelle increspata di Valentine.

Hodler distoglie lo sguardo e si affaccia alla finestra, l’unica feritoia che spezza l’uniformità anonima della sala ospedaliera. Quello che era presente negli ultimi tre mesi e che resterà per chissà quanti secoli ancora è lì fuori: è il solito paesaggio svizzero che ha dipinto per una vita, l’ottuso imperituro saliscendi delle montagne, il lago smaltato e sordo, la terra aspra. Per esistere non ha bisogno del nostro sguardo. Vive in una temporalità, vive di una temporalità a noi estranea. È un paesaggio indifferente, senza reciprocità, non più simbolicamente legato all’uomo e al suo posto nell’universo. Ciononostante, mai come oggi è un paesaggio necessario. Hodler lo conosce così bene che non ha neanche bisogno di guardarlo, può dipingerlo a occhi chiusi. Un paesaggio realizzato da un cieco, da chi guarda senza mettere a fuoco alcun particolare, in cui tra l’umano e il reale risuona solo una comune indifferenza. Lascia fare la mano, senza accenti, senza drammatizzazione. Hodler si fa cieco come Valentine. Questo è del resto il paesaggio che Valentine ha visto negli ultimi tre mesi.

E come noi prendiamo in prestito lo sguardo di Hodler, Hodler prende in prestito lo sguardo di Valentine. Oggi, 25 gennaio 1915, per la prima e unica volta, Hodler non dipinge Valentine. Né dipinge il tramonto sul lago Lemano. Si spinge là dove non aveva ancora osato spingersi, un gesto tanto più estremo che rischia di passare inosservato, come è capitato a me che con gli occhiali della storia dell’arte non vedevo più niente e mai avrei sospettato che Maurice Blanchot mi sarebbe stato più d’aiuto.

Oggi Hodler dipingerà lo sguardo stesso di Valentine.


Tratto da "Lo sguardo di Valentine"  di Riccardo Venturi