La
Scuola Superiore di Filosofia in Pratica organizza a Roma il Master in
Filosofia in pratica nelle organizzazioni complesse. Inizio: 27 settembre 2013.
Il
titolo di questo Corso di alta formazione può suscitare una sorta di duplice
spiazzamento. Da una parte sembra veramente strano pensare a una filosofia che
sia “pratica” e che si realizzi in attività pratiche e, dall’altra, ancora più
strano potrebbe sembrare il fatto di accostare la filosofia alla realtà che
tutti noi viviamo quotidianamente nei luoghi di lavoro.
Ne parliamo con Myriam
Ines Giangiacomo presidente della Scuola Superiore di Filosofia in Pratica e
direttore didattico del percorso formativo.
VV: Puoi spiegarci prima di tutto che cos’è la “filosofia in pratica”?
MIG: In generale, l’espressione “filosofia in pratica” fa riferimento a un operare
in stile filosofico – ad esempio adottando l’analisi critica e le pratiche
dialogiche, riflessive e argomentative, e dando attenzione alle tonalità
affettive del pensare e dell’agire - nelle situazioni problematiche della vita
quotidiana, personale e professionale. Possiamo
descrivere la FiP come un’attività specificamente orientata alla riflessione,
all’interrogazione e al riconoscimento dei presupposti impliciti che governano
la vita, il lavoro e la società. Usa uno stile di riflessione argomentativo e
rigoroso per comprendere e affrontare frangenti problematici singolari, e si
avvale di competenze disciplinari specifiche per intervenire nelle situazioni
complesse.
La
FiP ha un ruolo cruciale nello spazio dell’agire sociale, organizzativo e
professionale e una generale vocazione “politica” che prende corpo nell’ideale
di comunità di ricerca, un ambiente relazionale in cui il dialogo filosofico si
propone come esercizio di cittadinanza attiva e responsabile e come via per
dare corpo e sangue alla “democraticità” nella sua doppia determinazione etica
ed epistemologica.
VV: E in che modo, secondo te, e con quale utilità la “filosofia in pratica” può
entrare in organizzazioni di natura diversa come aziende, istituzioni,
associazioni, cooperative, ecc?
MIG: Gli ambienti di lavoro oggi sono “contesti a elevata complessità”
caratterizzati da una molteplicità di relazioni intra e inter-organizzative in
cui il clima di incertezza e la pressione sui risultati hanno accentuato
l’enfasi sul “fare” e reso la comunicazione ipertrofica ma nei quali ci si
trova, spesso, davanti a un vuoto di senso. Quando
tutto appare imprevedibile e impalpabile, diventano necessari approcci diversi
e mentalità nuove e nuove organizzazioni animate da leader e manager capaci di
visione e di pensiero critico e in grado di “generare senso” e di integrare in
chiave evolutiva i saperi.
Attraverso
un approccio trasversale e multidisciplinare, la FiP favorisce lo sviluppo
della capacità di costruire ampie cornici di senso nelle quali gli individui
possano inscrivere la loro esperienza, gestire situazioni complesse, analizzare
i saperi, le “teorie in uso” e i modelli mentali messi in campo nell’affrontare
la realtà, e apprendere dall’esperienza. La
FiP si realizza mediante pratiche grazie alle quali è possibile affrontare le
implicazioni filosofiche della vita organizzativa senza dimenticare temi -
centrali per la teoria e la pratica manageriale - che presentano una evidente
natura filosofica quali i presupposti del management, i suoi concetti chiave
come leadership, sense-making, efficacia, strategia, ecc., i suoi miti e
rappresentazioni, le metodologie adottate per il decision-making e il
controllo, per l’analisi e la progettazione organizzativa, per la definizione
degli obiettivi e la misurazione delle performance, ecc, i temi etici e quelli
legati ai diritti dei lavoratori.
Rispetto
a temi come questi, l’impiego di tecniche e metodi specificamente filosofici
può aiutare a creare i presupposti teorici e pratici dell’agire, a
problematizzare i concetti fondamentali, a elaborare la visione che i manager
hanno di se stessi e delle organizzazioni e a strutturare specifiche
metodologie. Tutto questo nella direzione dell’apprendimento individuale e
organizzativo insieme.
VV: Mi sembra di capire, stando a quello che hai detto fino ad ora, che la FiP
possa dare a chi lavora in un’organizzazione, magari in posizioni manageriali,
competenze “filosofiche”, che tu hai descritto molto bene, che vanno ad
affiancare altre competenze più specialistiche. Mi piacerebbe però sapere se il
master forma alla professione del “filosofo pratico” e, se sì, cosa andrà a
fare quindi il filosofo pratico in un’organizzazione?
MIG: Il master è nato per rispondere a due esigenze potenzialmente complementari. La
prima: aiutare chi già opera nelle aziende e ha una competenza di base filosofica
– o più in generale umanistica – a utilizzare appieno una tale formazione
universitaria nel contesto organizzativo in cui si trova, coniugandola con le
proprie competenze specialistiche, anche ampliandole. La seconda: offrire, a
chi ha questa formazione universitaria e desidera candidarsi per l’inserimento
all’interno di una organizzazione, una formazione di base in general management
per poter essere rapidamente operativo.
In
via generale il “filosofo pratico” potrebbe essere definito come un “consulente
di processo” (il riferimento è certamente a Schein) anche laddove, dentro
un’organizzazione, si ponga come fornitore interno di un cliente interno. La
nozione di consulenza di processo implica che il consulente, chiamato a operare
in un’organizzazione, non sia visto come un esperto di contenuti ma come un
professionista in grado di facilitare il compiersi di un percorso che vede come
attore primario il cliente il quale, avendo una conoscenza migliore del proprio
problema rispetto al consulente, sarà anche in una posizione migliore per
individuare e valutare le diverse possibilità di azione. Il
“filosofo pratico” agisce quindi nella relazione, facendola diventare
un'opportunità di crescita professionale e personale per i singoli e per
l’organizzazione nel suo complesso, in modo da far emergere le soluzioni dal
contesto stesso vincendo le resistenze e le difese sempre presenti negli
ambienti organizzati, soprattutto nei momenti di cambiamento.
Il
“filosofo pratico” spinge la riflessione verso aspetti che sono a monte e che
una pratica filosofica può aiutare a portare allo scoperto. Il suo intervento,
spesso, affronta una situazione indeterminata in cui il problema è sentito, ma
non ancora definito. E il primo passo consiste proprio nell’individuare il problema,
articolarlo, analizzarlo ed esplicitarlo, fermo restando il fatto che la sua
definizione non è il risultato della diagnosi di un consulente ma il punto di
arrivo dell’attivazione di processi individuali e di gruppo proposti e
facilitati dal filosofo.
VV: Qual è stato il motivo che vi ha spinto a progettare e proporre questo Master e
qual è secondo te il suo valore aggiunto rispetto all’attuale offerta di master
in Italia? Ci sono esempi di corsi di questo genere in altri paesi?
MIG: Il Master ha, a mio avviso, un grande valore aggiunto: quello di introdurre
nelle organizzazioni una capacità di riflessione articolata all’altezza della
complessità del sistema, in grado di guidarle ampliando il loro orizzonte
simbolico e arricchendo il loro pensiero. Devo ammettere che ci siamo quasi
sentite chiamate a pensarlo e a organizzarlo alla luce di molti anni di
esperienza nelle organizzazioni (aziende e non) in posizioni manageriali o come
consulenti. Lavorando
in particolare sui temi di strategie o di sviluppo organizzativo e delle
persone, spesso abbiamo operato filosoficamente ma sostanzialmente “in
incognito” e abbiamo potuto apprezzare il plus apportato dalla filosofia sia
sui temi di sviluppo del business (anche in senso lato) che su quelli più
gestionali.
Penso
che adesso i tempi siano maturi per venire allo scoperto e perché la filosofia
possa entrare a pieno titolo nelle organizzazioni, a maggior ragione in quelle
che presentano un maggior grado di complessità, per dare il proprio contributo
nello sviluppo di nuovi modelli di business e organizzativi e in una
“costruzione di senso” che aiuti le persone a stare meglio e in modo più
consapevole negli ambienti di lavoro e le organizzazioni a essere sempre di più
“organizzazioni che apprendono”.
Non
mi risulta che all’estero ci siano ancora percorsi di questo tipo, ovvero
strutturati e sistematici come un master anche se ci sono molte iniziative più
frammentate. Ne ho parlato con colleghi stranieri (alcuni dei quali faranno
parte del corpo docente del master) e ho riscontrato il massimo apprezzamento
per un’iniziativa che risponde a un’esigenza dei nostri tempi e che è spesso
oggetto di articoli anche su autorevoli riviste di business come la Harvard
Business Review. D’altra parte da anni, e non solo nel mondo occidentale, si
parla di Philosophy for management e si fa ricerca e si organizzano convegni e
seminari in tale ambito.
VV: Quali sono i pre-requisiti che consideri fondamentali per trarre il massimo
beneficio dalla partecipazione al Master?
MIG: Ci rivolgiamo in particolare a coloro che hanno una formazione filosofica e
umanistica proprio perché, per tutto quanto detto finora, chi ha questo tipo di
formazione può essere molto prezioso nelle organizzazioni quando abbia
integrato questa propria competenza distintiva con le altre competenze
necessarie per inserirsi proficuamente in un determinato contesto lavorativo.
Riteniamo che acquisire un profilo da "filosofo pratico", che renda
pronto a operare concretamente con la propria peculiare "inclinazione
filosofica" in un mondo che ha sempre più necessità di un “pensiero nuovo”
e che da anni auspica un “cambio di paradigma”, possa essere molto apprezzato
sia dal mercato delle imprese innovative sia dai recruiter più aperti al
futuro.
Il
percorso formativo è articolato in maniera da far conoscere ai partecipanti la
complessa e articolata realtà delle organizzazioni attraverso “le lenti” della
FiP, valorizzando l’interconnessione tra due fil rouge che percorrono tutto il
master intrecciandosi continuamente.
Il
primo è quello che potremmo ricondurre alla formazione sui temi del general
management. Esperti della vita organizzativa e delle discipline ad essa
connesse guideranno i partecipanti nell’esplorazione degli ambiti in cui un
filosofo può più proficuamente inserirsi. Una sorta di viaggio all’interno
delle aree tematiche di una organizzazione “tipo” per conoscerne gli elementi
principali, il linguaggio e le funzioni.
Il
secondo è quello della formazione peculiare del “filosofo pratico”. Ogni
tematica di cui sopra sarà oggetto di un laboratorio di pratica filosofica nel
quale, sottoponendone a un esame critico presupposti e architetture, saranno
evidenziate le opacità e le contraddizioni ma anche le possibili nuove luci e
gli spazi nei quali seminare pensieri nuovi. Grande attenzione, inoltre, sarà
dedicata allo sviluppo della consapevolezza attraverso momenti esperienziali
dedicati.
E’
chiaro che il massimo della potenzialità di un’ offerta del genere viene
espresso nella frequenza dell’intero percorso. Abbiamo
però voluto prevedere anche una modalità di fruizione diversa. È possibile,
infatti, una frequenza parziale, finalizzata all’acquisizione di competenze
specifiche in una o più delle aree tematiche. Penso ad esempio alla pubblica
amministrazione, dove enti o dipartimenti possono essere interessati a far
frequentare specifici moduli del master al proprio personale laureato. Per
questo tipo di frequenza sono ammesse anche lauree diverse da quelle
umanistiche.
VV: Quali organizzazioni secondo te oggi potrebbero essere più “aperte” a un
approccio di questo genere e quindi interessate ad acquisire competenze non
solo specialistiche ma anche “filosofiche”?
MIG: Penso in particolare ad aziende e organizzazioni, come ad esempio le imprese
green e le ONG, che sono attente alla visione sistemica e desiderose di
innovare sia nei modelli di business che in quelli organizzativi e che già
mostrano notevole interesse per questa nuova figura professionale capace di
integrare l’approccio sistemico e umanistico con una buona conoscenza delle
dinamiche organizzative e dei mercati.
Intervista a cura di Valeria Verga - Roma, 10 luglio 2013