Ritorno al futuro è il titolo di un film
di successo che narra di una moderna macchina del tempo. Nel cuore degli anni
Ottanta, un adolescente della classe media americana e un inventore scombinato
si ritrovano nel 1964 col problema di tornare indietro, all'epoca cui appartengono.
La pellicola, nella sua semplicità, dà corpo a una sensazione che
nell'Occidente capitalistico durante gli ultimi decenni si è sempre più
rafforzata: la storia è finita, il picco umano dell'evoluzione
tecnico-economica è stato raggiunto, l'unico modo per cambiare il futuro è
tornare sui propri passi. La necessità di tornare indietro e fare diversamente,
sulla cui realizzazione fantastica ruota l'intera pellicola, è terreno fertile
per la coltura delle passioni melanconiche. Le cito al plurale per sottolineare
le molte sfumature e le vesti cangianti sotto le quali la melanconia appare: in
un paesaggio serale, in una canzone senza pretese, in un odore che riporta
indietro verso tempi lontani. La varietà delle forme sensoriali che travestono
la melanconia stona però con un dato altrettanto appariscente: la melanconia
gode oggi di una reputazione melliflua e stantia.
Le maldicenze circa questo
stato d'animo riguardano gli ambiti più diversi: dall'articolo del quotidiano
al saggio filosofico, dalla teoria politica alla critica d'arte il termine
"melanconia" è di solito considerato sinonimo, perlomeno parente
prossimo, di "triste", "nostalgico", "bloccato
nell'agire e nel dire".
Anche le ricerche che
negli ultimi cinquant'anni hanno tentato di riabilitarne la storia e mostrarne
la complessità hanno rischiato, loro malgrado, di peggiorare la situazione. Saturno
e la melanconia (Klibansky, Panofsky, Saxl, 1964) ha contribuito a legare
in modo indissolubile questa passione alla celebre incisione di Dürer con la
sua protagonista alata ma immobile.
[…] mentre oggi
"melanconia" è divenuto sinonimo di "depressione" e
"tristezza nostalgica", alle sue radici la passione che si credeva
fosse legata all'azione di una sostanza specifica, la nera bile (la mélaina
cholé, da qui il termine italiano), era propria di un temperamento
completamente differente. Il melanconico era colui che, messo di fronte a
trasformazioni repentine, non riusciva a rendersi subito conto di quel che lui
stesso era riuscito a compiere. Nel bene e nel male: nel salvare la città o
nell'uccidere i propri compagni, la melanconia è protagonista di una dinamica
fatta di azioni e parole volta al cambiamento di una forma di vita.
Marco Mazzeo Melanconia
e rivoluzione - Antropologia di una passione perduta, Editori Riuniti,
Roma, 2012, Navigazioni