mercoledì 3 aprile 2013

Bramosia di futuro


Tale era l’abbondanza di frutta, specialmente lamponi, fragole, more e mirtilli, che da fine giugno a metà agosto la casa padronale si tramutava decisamente in una fabbrica, dove da mane a sera s’effettuava la lavorazione della frutta. Perfino nelle stanze di gala, tutti i tavoli erano carichi di mucchi di frutti; attorno sedevano le ancelle a mondarli, suddividendoli per sorta; riuscivano appena a venire a capo d’un mucchio, che già un altro gli dava il cambio.

Al giorno d’oggi, questa sola operazione costerebbe di per sé un sacco di soldi. A quel tempo, invece, all’ombra di un enorme tiglio centenario, sotto la diretta sorveglianza di mia madre, su mattoni sistemati a forma di quadrangolo, si cuoceva la marmellata, per cui venivano scelti i frutti più grossi e le bacche più belle. Il resto veniva utilizzato per i liquori, gli elisir, gli estratti, ecc.

Da notare che frutti e bacche fresche venivano consumati con discrezione persino dai padroni, quasi nel timore che non ce ne fosse abbastanza per le provviste. Alle «servacce» poi non se ne dava affatto (ricordo la preoccupazione di mia madre, al momento della raccolta dei lamponi «che quelle villanzone non abbiano a rimpinzarsene!»). E anche quando di frutta ce n’era, come si dice, a bizzeffe, bisognava immancabilmente aspettare che, a causa del prolungato soggiorno nelle cantine, cominciasse a muffire. Quella massa di leccornie attirava nelle stanze orde innumeri di mosche, che avvelenavano decisamente l’esistenza.

A cosa servissero quegli ammassi, non l’ho mai potuto capire. Il fenomeno può essere definito col termine inusitato di «bramosia del futuro». Grazie ad essa, anche quando una persona ha sotto gli occhi un’intera montagna di cibarie, le sembra sempre poca cosa. Il ventre umano ha dei limiti, ma l’avida immaginazione gli attribuisce misure incolmabili, e in pari tempo minacciose prospettive si profilano all’orizzonte.

Nel corso dell’anno le provviste venivano consumate con parsimonia, con avarizia quasi. Sebbene non fosse ancora giunta, si pensava che «l’ora» sarebbe suonata sicuramente e in quel momento si sarebbe spalancato un abisso misterioso che senza posa avrebbe inghiottito tutto quello che si era accumulato. Di tanto in tanto si procedeva a una revisione delle cantine e delle dispense, e sempre risultava che la metà o quasi delle provviste era andata a male.

Michail Saltykov-Ščedrin, Fatti d'altri tempi nel distretto di Pošechone, Macerata, Quodlibet 2013, pp. 20.21]