Dal 15 al 20 di marzo son stato in Polonia, a Cracovia, ad Auschwitz e a Birkenau, con un gruppo di 630 persone la maggioranza delle quali erano ragazzi e ragazze degli ultimi due anni delle scuole superiori della provincia di Modena. Siamo andati con un treno che partiva da Fossoli, il campo dal quale partivano, alla fine della seconda guerra mondiale, i deportati del nord Italia.
Ci abbiamo messo, a arrivare, venti ore. Il giorno dopo, nell’andare a Birkenau, sull’autobus la guida ci ha detto che la Polonia ha una forma più o meno regolare, rotonda quadrata. E tutto il giorno abbiamo camminato sulle ossa dei morti. E aspettavamo che tacesse la guida, e ci mettevamo a ascoltare il silenzio. E pensavamo che era un silenzio da registrare.
E a un certo punto è stato chiaro che è vero quello che dice una botanica che lavora al museo di Auschwitz, che dice che il senso del lavoro che, da decenni, stanno facendo gli storici per ricostruire quel che veramente è successo, comparando testimonianze e dati documentali, lavorando sui ritrovamenti di nuovo materiale sul sito archeologico e sui ritrovamenti di nuovi documenti negli archivi di mezzo mondo, un lavoro inesausto e disperato, che ha portato Franciszek Piper a scrivere: «il est évident que la reconstruction de la tragédie d’Auschwitz dans son intégralité est irréalisable», il senso di tutto questo lavoro sarebbe rivoluzionato, ha detto quella botanica, se ci si rivolgesse a dei testimoni oculari imparziali, le betulle di Birkenau, che – e ci siamo voltati tutti a guardarle – sono le stesse betulle che c’erano allora, settant’anni fa.
E il giorno dopo, alla mensa sovieticomorfa del museo di Auschwitz, quando ho ordinato un espresso, la barista mi ha chiesto «Piccolo?» e io le ho risposto «Piccolo». E il giorno dopo, a Cracovia, in un bar che dà sulla piazza, ho sentito tre tedeschi che ordinavano uno un caffè, uno un cappuccino, un altro una pizza, e ho pensato che noi italiani avevamo inventato tutto, anche la parola Ghetto. E sapevo che dieta in polacco si dice Dieta, e che farmacia in polacco si dice Apteka. E subito dopo, in una libreria di Cracovia, ho scoperto che audiobook si dice Audiobooki. E poi basta.