lunedì 19 marzo 2012

Il senso comune


Vi è una realtà esterna, e tuttavia data immediatamente al nostro spirito. Il senso comune ha ragione […].
Questa realtà è mobilità. Non esistono cose fatte, ma solo cose che si fanno; non stati che si conservano, ma solo stati che mutano. La quiete non è mai che apparente o, piuttosto, relativa. La coscienza che abbiamo della nostra propria persona, nel suo continuo scorrere, ci introduce all’interno della realtà sul cui modello dobbiamo rappresentarci le altre.

Ogni realtà, dunque, è una tendenza, se si conviene di chiamar tendenza un mutamento di direzione allo stato nascente.
Il nostro spirito, che cerca punti di appoggio solidi, ha come principale funzione, nel corso ordinario della vita, di rappresentarsi stati e cose. Esso prende, di quando in quando, vedute quasi istantanee sulla mobilità indivisa del reale. E ottiene, così, sensazioni e idee, sostituendo al continuo il discontinuo, alla mobilità la stabilità, alla tendenza in via di mutamento i punti fissi che segnano una direzione del mutamento e della tendenza. Questa sostituzione è necessaria al senso comune, al linguaggio, alla vita pratica e perfino […] alla scienza positiva. La nostra intelligenza, quando segue la sua china naturale, procede per percezioni solide da un lato e per concezioni stabili dall’altro: parte dall’immobile e non concepisce e non esprime il movimento se non in funzione dell’immobilità; si installa in concetti già fatti e si sforza di prendervi, come in una rete, qualcosa della realtà che passa […] [per] servirsene, dato che ogni concetto è una domanda pratica che la nostra attività pone al reale, a cui il reale risponderà […] con un sì o con un no. Ma con ciò essa si lascia sfuggire ciò che, del reale, è l’essenza medesima. “
[…]
“Ma […] il nostro spirito può seguire il cammino inverso. Può installarsi nella realtà mobile, adottarne la direzione continuamente mutevole, coglierla, insomma, intuitivamente. Per questo occorre che si faccia violenza, e inverta il senso dell’operare con cui si pensa di solito, e rovesci o, piuttosto, rifondi senza tregua le sue categorie. Esso metterà capo, così, a concetti fluidi, capace di seguire la realtà in tutte le sue pieghe e di adottare il movimento stesso della vita interna delle cose.”
“Per mezzo di fermate, per quanto numerose, non si farà mai della mobilità; mentre, se ci si dà la mobilità si potrà trarne col pensiero quante fermate si vorrà. In altri termini, è comprensibile che concetti fissi possano dal nostro pensiero essere estratti dalla realtà mobile; ma non v’è alcun mezzo per ricostruire con la fissità dei concetti la mobilità del reale.”
Henri Bergson, Introduzione alla metafisica, Laterza, Roma-Bari 1987