giovedì 29 marzo 2012

Dovere e volere nel corpo

Come si riflette dunque nel corpo il modo di parlare - o di scrivere - di un individuo ? E come cambia il modo di parlare quando cambia qualcosa dentro di sé ? Le parole che usiamo sono così intimamente legate ai processi psicologici e fisici che riesce difficile credere che anche un cambiamento nel linguaggio non produca, in qualche misura, una trasformazione in noi stessi, nel nostro corpo e nelle nostre relazioni. Osservando con attenzione, infatti, ogni stile di vita è caratterizzato da un linguaggio che permette il suo perpetuarsi.

Quando parlando diciamo “devo fare qualcosa” o addirittura “dovrei’ farla” stiamo perdendo il contatto col nostro desiderio, col nostro reale bisogno, col piacere che deriva dall’attività volta a soddisfarlo, e quindi col nutrimento che quest’attività può dare al corpo e all’anima. Pensare - e parlare - in termini di ‘dovere’ implica generalmente che quello che ‘dobbiamo’ fare lo facciamo per qualcun altro invece che per noi stessi, che chi trae soddisfazione o vantaggio dalla nostra azione non siamo noi. Per comprendere meglio, ci si può chiedere per esempio “Che cosa accadrebbe se non lo facessi? Chi mi costringe? Chi lo vieta?” in modo da ricostruire più consapevolmente la causa, la motivazione reale e il risultato dell’azione da compiere.
Dal punto di vista fisico (...) il dovere porta lo stato dell’organismo da una struttura più interna - collegata al piacere e ai bisogni essenziali - a una più esterna: dal centro del cervello alla corteccia, dal rene al surrene, dalla muscolatura interna a quella esterna. La corteccia controlla e contiene: noi, dal canto nostro ‘faremmo altro’. Ogni volta che diciamo ‘devo’, insieme al sistema nervoso simpatico entrano in attività le strutture più esterne del corpo, che ci costringono ad agire un po’ come se ci prendessero di peso per superare la nostra resistenza, con ripercussioni sul movimento (...). Quando diciamo ‘devo’, dunque, non consideriamo nostro il bisogno che affermiamo e ci alieniamo la spontaneità del desiderio. Dato che il bisogno, il desiderio, l’eccitazione sono tutte qualità degli organi, ovvero del nucleo energetico del corpo, pensare in termini di dovere implica per prima cosa la disattivazione di questi ultimi. Senza il sostegno degli organi, ogni azione compiuta ha la stessa pesantezza di un trascinarsi.

Quando ciò che ‘dobbiamo’ fare si trasforma in qualcosa che ‘vogliamo’ fare disponiamo di una possibilità concreta per identificarci con i nostri impulsi. Se siamo noi a fare qualcosa, se ci riappropriamo del fatto che lo facciamo per noi stessi e non per qualcun altro, i muscoli possono sciogliersi e gli organi, tornando in azione, sostenerne il movimento. E il nostro stile vita nel senso della leggerezza.

J. Tolja - F. Speciani, Pensare col corpo  Baldini Castoldi Dalai Editore