Culturalmente, è più facile mobilitare gli uomini per la guerra che per la pace. Nel corso della storia, l'Umanità è sempre stata portata a considerare la guerra come il mezzo più efficace di risoluzione dei conflitti, e quelli che hanno governato si sono sempre serviti dei brevi intervalli di pace per preparare le guerre future. Ma è sempre stato in nome della pace che sono state dichiarate tutte le guerre. È sempre perché un domani i figli vivano pacificamente che oggi vengono sacrificati i padri...
Questo si dice, questo si scrive, questo si fa credere, giacché si sa che l'uomo, ancorché storicamente educato per la guerra, possiede nel proprio spirito un permanente anelito di pace. Ecco perché la pace è usata tante volte come mezzo di ricatto morale da quelli che vogliono la guerra: nessuno oserebbe confessare che fa la guerra per la guerra, mentre si giura, questo sì, che si fa la guerra per la pace. Per ciò tutti i giorni e in tutte le parti del mondo continua a essere possibile che gli uomini partano per la guerra, continua a essere possibile che la guerra vada a distruggerli nelle loro stesse case.
Ho parlato di cultura. Sarò magari più chiaro se parlerò di rivoluzione culturale, anche se sappiamo che si tratta di un'espressione logora, spesso perduta in progetti che l'hanno snaturata, usurata in contraddizioni, smarrita in avventure che hanno finito per servire interessi che le erano radicalmente contrari. Eppure, non sempre queste agitazioni sono state vane. Si sono aperti spazi, allargati orizzonti, ancorché mi sembri che ormai sarebbe più che ora di capire e proclamare che l'unica rivoluzione veramente degna di tal nome sarebbe la rivoluzione della pace, quella che trasformerebbe l'uomo addestrato alla guerra in un uomo formato per la pace perché con la pace sarebbe stato formato. Questa, sì, sarebbe la grande rivoluzione mentale, e dunque culturale, dell'Umanità. Questo sarebbe, infine, l'Uomo nuovo di cui tanto si parla.
Josè Saramago L’Ultimo Quaderno, Feltrinelli, Milano, 2010