martedì 21 giugno 2011

Vi sono, a voler semplificare, due tipi di uomini e, parallelamente, due tipi di scrittori. La prima categoria, senza dubbio la maggioranza, ritiene che la vita sia la sola e unica realtà disponibile. Una persona di questo tipo, se diventa scrittore, riprodurrà questa realtà nei suoi più minuti particolari: vi darà una conversazione in una camera da letto, una scena di battaglia, il tessuto di una tappezzeria, odori e rumori, con una precisione tale da rivaleggiare con i vostri sensi e con le lenti della vostra macchina fotografica; da rivaleggiare forse con la realtà stessa. Quando si chiude un suo libro, è come se fosse finito un film: le luci si accendono, e voi uscite in strada soddisfatti, pieni di ammirazione per il Technicolor e per la recitazione di questo o quel divo, di cui magari cercherete poi di imitare l’accento o il portamento.

La seconda categoria, la minoranza, percepisce la propria vita, e la vita di chiunque altro, come una provetta per l’analisi di certe qualità umane, la cui resistenza alle sollecitazioni più estreme è determinante per accettare l’una e l’altra versione, quella ecclesiastica o quella antropologica, dell’apparizione della specie. Come scrittore, un uomo simile non sarà molto generoso di particolari; invece vi descriverà gli stati e i sussulti della psiche dei suoi personaggi con un tale accanimento che voi vi congratulerete di non averlo conosciuto di persona. Quando si chiude il libro, è come se ci si svegliasse con una faccia cambiata.

Iosif Brodskij, Il canto del pendolo, Milano, Adelphi