lunedì 18 novembre 2013

Vivere alla fine dei tempi

La premessa di base di questo libro è semplice: il sistema capitalista globale si sta avvicinando a un apocalittico punto zero. I suoi « quattro cavalieri dell’apocalisse » comprendono la crisi ecologica, le conseguenze della rivoluzione biogenetica, gli squilibri interni al sistema stesso (problemi con la proprietà intellettuale; imminenti lotte per materie prime, cibo e acqua), e la crescita esplosiva delle divisioni ed esclusioni sociali.

Prendiamo ad esempio in considerazione l’ultimo punto: in nessun luogo le nuove forme di apartheid sono più palpabili che nei ricchi Stati petroliferi del Medio Oriente, Kuwait, Arabia Saudita, Dubai. Nascosti ai margini delle città, spesso letteralmente dietro muri, ci sono decine di migliaia di « invisibili » lavoratori
immigrati, che fanno il lavoro sporco, dalla manutenzione alla costruzione, separati dalle loro famiglie e privati di ogni privilegio.

Una situazione di questo tipo rappresenta chiaramente un potenziale esplosivo, che avrebbe dovuto essere convogliato dalla sinistra nella lotta contro lo sfruttamento e la corruzione, mentre viene oggi sfruttato dai fondamentalisti religiosi. Uno Stato come l’Arabia Saudita è letteralmente «oltre la corruzione»: non c’è bisogno di corruzione perché la cricca al potere (la famiglia reale) possiede già tutta la ricchezza, che può distribuire liberamente e a suo piacimento. In Stati di questo tipo la sola alternativa alla reazione fondamentalista sarebbe un tipo di Stato sociale socialdemocratico. Se le cose continueranno così, possiamo anche solo immaginare il cambiamento nella « psiche collettiva » occidentale quando (non se, ma precisamente quando) qualche gruppo o « nazione canaglia » otterrà un ordigno nucleare, o una potente arma chimica o biologica, e dichiarerà di essere « irrazionalmente » pronto a rischiare tutto nell’usarla? Le coordinate più basilari della nostra percezione dovranno cambiare, in quanto, oggi, viviamo in uno stato di negazione feticistica collettiva: sappiamo molto bene che a un certo punto questo accadrà, ma ciononostante non riusciamo a credere veramente che accadrà. Il tentativo da parte degli Stati Uniti di evitare un tale evento attraverso una continua attività preventiva è una battaglia persa in partenza: l’idea stessa che possa aver successo poggia su una visione fantasmatica.

Una forma più comune di « esclusione inclusiva » sono gli,slum, le baraccopoli, vaste aree che stanno al di fuori del controllo statale. Mentre sono generalmente visti come spazi in cui bande e sette religiose si contendono il controllo, gli slum offrono anche lo spazio per organizzazioni politiche radicali, come avviene in India, dove il movimento maoista dei naxaliti sta organizzando un vasto spazio sociale alternativo. Come ha affermato un funzionario statale indiano:

Il fatto è che se non riesci a governare un’area, allora quest’area
non è tua. Essa non fa parte dell’India, salvo sulle mappe. Almeno
la metà dell’India oggi non è governata. Non è sotto il tuo
controllo [...] c’è bisogno di creare una società completa in cui
ogni gruppo locale possa riporre interessi significativi. Non è
quello che stiamo facendo [...] e questo fornisce ai maoisti spazio
d’azione.

Per quanto simili segnali della « grande confusione sotto il cielo » abbondino, la verità fa male, e noi cerchiamo disperatamente di scansarla. Per spiegare come questo accada, possiamo rivolgerci a una guida inaspettata. La psicologa di origine svizzera Elisabeth Kübler-Ross ha proposto il celebre schema delle cinque fasi dell’elaborazione del lutto, conseguente, ad esempio, alla scoperta di avere una malattia terminale: rifiuto (ci rifiutiamo semplicemente di accettare il fatto: « Non può succedere, non a me »); collera (che esplode quando non possiamo più negare il fatto: « Perché succede proprio a me? »); venire a patti (nella speranza di potere in qualche modo posporre o diminuire il fatto: « Se potessi almeno vivere fino a vedere la laurea dei miei figli »); depressione (disinvestimento libidinale: « Sto per morire, e quindi chi se frega di tutto »); e accettazione («Visto che ormai non lo posso combattere, tanto vale che mi prepari »). In seguito Kübler-Ross ha utilizzato lo stesso schema per ogni forma di perdita personale catastrofica (disoccupazione, morte di una persona cara, divorzio, tossicodipendenza), puntualizzando che le cinque fasi non procedono necessariamente sempre nello stesso ordine, e che non ogni paziente le attraversa tutte e cinque.

È possibile scorgere le stesse cinque figure nel modo in cui la nostra coscienza sociale prova ad affrontare l’imminente apocalisse. La prima reazione è di rifiuto ideologico: non c’è alcun disordine essenziale; la seconda è esemplificata da esplosioni di collera di fronte alle ingiustizie del nuovo ordine mondiale; la terza comporta dei tentativi di venire a patti (« Se cambiamo un po’ di cose qua e là, potremmo forse continuare a vivere come prima »); quando il venire a patti fallisce, arrivano la depressione e la chiusura in sé stessi; infine, dopo essere passato per questo punto zero, il soggetto non considera più la situazione come una minaccia, ma come la possibilità di un nuovo inizio; o, come disse Mao Tse-tung: « Grande è la confusione sotto il cielo, la situazione è eccellente ».


Slavoj Žižek, Vivere alla fine dei Tempi Ponte alle Grazie  (2011) – Dall’introduzione