martedì 19 novembre 2013

Quel “certo gusto” italiano


È difficile iniziare a scrivere un articolo in favore del ripristino dell'insegnamento della Storia dell'Arte senza citare, e non certo per eccesso di nazionalismo, un certo "gusto italiano" facilmente riconoscibile non solo in patria ma, per chi non è avulso da mete internazionali, anche all'estero.

A chi non è capitato, trovandosi all'estero, di riconoscere un italiano semplicemente scorgendolo passare? Sarà anche per quell'innata capacità di abbinare con un certo gusto (quando diciamo “certo gusto” ci riferiamo a quello estetico e, chissà perché, ci capiamo) scarpe, vestiti, borsa e cappello?

Perché grandi attori, cantanti e registi (cosiddetti vip), sfilano sui famosi red carpet o partecipano a gran gala e premiazioni eminenti, con abiti di stilisti soprattutto italiani?
Perché oggi, in Italia, persino una classe di adolescenti in simbiosi con un iPhone, resta stupita e incredula quando si aggira tra le rovine sotterranee di città con oltre duemila anni di storia?

Perché anche una persona priva di educazione artistica, con una istruzione media, invitata ad un matrimonio nella Basilica Paleocristiana (Santa Maria Annunziata) di Paestum, può dire con orgoglio di esserci stata? Andando di fretta o prendendo l'autobus molti di noi camminano sopra secoli di Storia chiamati strade, vedono muri (e mura) che hanno attraversato epoche e restauri, ospitare mesti uffici, università, teatri, botteghe, musei, chiese, discoteche, ristoranti... mentre veniamo educati dai muri stessi, da fregi medievali, colonne neoclassiche, portici settecenteschi, facciate gotiche e angoli di strade secolari.

Eppure, uno dei messaggi più popolari, o almeno ciò che è passato, della Riforma Gelmini del 2009 è stato quello di definire la Storia dell'Arte come una materia desueta, barbosa, inattuale dunque inutile, troppo settoriale, insomma, che non crea profitto, almeno secondo una concezione della formazione unicamente “tecnicista”. Come se la tecnica, il profitto, lo sviluppo economico e la nuova imprenditorialità non traessero linfa dall'humus delle idee, che avvengono sì per intuizione, ma solo se vi è una base solida ed un terreno di pensiero fertile cui attingere.

Fino a pochi anni fa, le scuole italiane erano le uniche in Europa ad insegnare la Storia dell’Arte: una tradizione ormai di lunga data vigeva da novant'anni, grazie alla riforma Gentile del 1923 [1]. Riguardo l'attualità, poi, sappiamo quanto occorra saper creare ponti tra passato e presente, e che la Storia, tutta e non solo quella dell'Arte, insegna venendo in aiuto nei momenti più impensabilii grazie alla memorizzazione durante gli anni di studio e alla visualizzazione delle immagini. E' così possibile, ad esempio, spiegare ai ragazzi che l'origine del marchio di una scarpa Nike è avvenuto quando un giovane mezzofondista americano sognò la dea greca della vittoria Nike, mentre il simbolo, la virgola, è in realtà "un fruscio che aleggia come soffio divino" [2]. Per citare solo il primo contatto con questa affascinante materia avvenuto ormai circa vent'anni fa all'ingresso di quell'eclettico e variegato mondo che è stato per la sottoscritta il Liceo Artistico Sperimentale.

Parrebbe che quel gusto quasi spontaneo che citavo all'inizio abbia radici antiche e, per quanto riguarda il mondo occidentale, nasca nel centro-sud dell'Europa.
Ciò che ha generato forme di pensiero e precorso i tempi del rigore filosofico è riuscito, attraverso le doti di grandi artisti, a compiere quella miracolosa e unica operazione che viene definita come la nascita di un'avanguardia: intuire cosa sente una civiltà prima che venga ufficialmente riconosciuto e saperlo rappresentare con un linguaggio non verbale.

Dall'Illuminismo in poi, in epoca moderna (dall'estetica Kantiana alla nascita rivoluzionaria di una teoria speculativa dell'Arte con Schlegel, Novalis, Schelling, Hegel), vi è stato il fenomeno delle cosiddette avanguardie [3]: sorte dal coraggio di pionieri dalla profonda, abissale visione, spesso di matrice esistenziale, le quali hanno segnato una rottura nel modo dominante di sentire che solo successivamente è stata riconosciuta dagli intellettuali dell'epoca come una transizione del pensiero.

La nascita della Storia dell'Arte come disciplina può sorgere solo se viene riconosciuta prima l'esistenza della Storia come ambito del dispiegarsi di un operare umano che traduce un pensiero ed un sentimento fondamentali e può, secondariamente, essere valorizzata e apprezzata se esiste una civiltà che della Storia ne abbia cognizione, tradizione, studio, ricerca, o più semplicemente un passato abbastanza remoto cui potersi riferire sempre. Una cosiddetta Memoria Storica che si struttura sì in base a quanto appreso sui testi scolastici, oggi sul web e sempre meno tramandata da una generazione all'altra, ma moltissimo di tale memoria in Italia è costituito dal patrimonio “visivo”.

Camminare nelle piazze italiane (e penso a Piazza Maggiore a Bologna, Piazza Santa Croce a Firenze, Piazza Trento e Trieste a Padova, Piazza Vecchia a Bergamo Alta, Piazza Duca Federico a Urbino, ed altre ancora) permette ancora oggi di vivere un'autentica esperienza metafisica come fu quella di Giorgio De Chirico allorché si accinse a dipingere L'enigma di un pomeriggio d'autunno (1909-1910).
Inutile ricordare come la Storia dell'arte in quanto disciplina sia squisitamente europea, in quanto generata da categorie di pensiero associate ad un bisogno primigenio che non sono invece sorti in altre parti del mondo, sebbene come impostazione teorica e sistema di ripartizione la Storia dell'Arte sia adattabile ad ogni Paese e tradizione culturale [4].

In Italia si passa dall'educazione artistica delle scuole medie ad una vera e propria Storia dell'arte nelle scuole superiori, che spesso, se ben introdotta, aiuta gli studenti a costruire un senso critico del presente facendo maturare un senso civico per l'avvenire. 

Solo se le giovani menti, anche improntate ad uno studio tecnico, vengono tenute aperte ad un approccio estetico (e dunque un certo modo di guardare il mondo e di intenderlo che precede la visione tecnica) c'è anche la possibilità che si apra il canale della creatività: ovvero saper riprogettare il futuro, in qualsiasi ambito, perché “seduti sulle spalle di un gigante” . Le grandi idee sorgono a partire da domande che chiedono l'ampliamento di un ambito che è già conosciuto: per lanciarsi in una nuova impresa, in una ricerca o un approfondimento, così come per costruire un lavoro è necessario saper pensare a partire da ciò che già c'è.


Laura Stefenelli, Salvare la Storia dell'Arte, salvare Storia, Pensiero e Bellezza, http://asia.it


Note:
[1] L’insegnamento della Storia dell’arte nelle scuole secondarie superiori costituisce una peculiarità italiana, codificata dalla riforma Gentile del 1923, ma preparata da una serie di sperimentazioni attuate dai primi anni del Novecento, vedasi: http://www.anisa.it/ConvegnoCunsta_Firenze15giugno09_Ragionieri.pdf
Per approfondire il pensiero circa la filosofia dell'arte di Giovanni Gentile è interessante leggere La Filosofia dell'Arte in compendio ad uso delle scuole, G. C. Sansoni editore, Firenze, 1937, in particolare capitoli III e IV.

[2] Sull'origine del marchio si può consultare questo sito.

[3] Jean-Marie Schaeffer, L'arte dell'età moderna: estetica e filosofia dell'arte dal XVIII secolo ad oggi, Società editrice il Mulino, Bologna, 1996


[4] Martin Heidegger, Holzwege, Sentieri erranti nella selva, a cura di Vincenzo Cicero, edizione Bompiani Il Pensiero Occidentale, Milano, 2002 (I edizione) pag. 106-116.