martedì 7 maggio 2013

Similitudine e somiglianza

Sia per l’anonimo autore della Sacra Bibbia che per il saggista di Questa non è una pipa, all’inizio c’era il caos. O forse ce n’erano due: il caos del diverso, dove ogni cosa è diversa da ogni altra; e il caos dell’uguale, dove ogni cosa è uguale a ogni altra.

Entrambi sono refrattari all’idea di ordine, che può solo esistere sulla soglia fra la differenza e la similitudine. Là dove tutto è uguale, o dove tutto è disuguale, non è possibile imporre le categorie della conoscenza, quindi ordine. L’autore della Bibbia suddivide il creato secondo un codice binario (luce/tenebra; mondo/cielo; terra/mare; sole/luna; animali che nuotano/animali che volano, e così via). Michel Foucault suddivide il creato secondo le categorie delle cose e delle parole, la cui partizione è necessaria perché il mondo diventi comprensibile (attraverso tutto ciò si manifesta nella duplice articolazione un fatto e del resoconto di un fatto).

Per avere il concetto di ordine bisogna avere il concetto di differenza e di similitudine (tra cosa e cosa, o tra parola e parola). La storia del mondo è anche l’Histoire du Même, cioè la storia della stessità. La cosa uomo diventa uomo solo quando si accorge di opporsi all’altro, cioè all’inumano: quando l’uomo si accorge di essere lo stesso di un altro uomo. Questa stessità non è la statica stessità del caos dell’uguale, che ruota eternamente nella propria in-differenza, bensì la dinamica stessità del mondo, dove il simile e il diverso si confrontano si oppongono si urtano. La storia della stessità non è più un artistico rimando di specchi, bensì un vorticare di immagini.

In questa storia cosmica e umana ci sono delle fratture, degli intervalli, dei momenti di crisi; per esempio la frattura tra il mondo come scrittura divina (cioè il mondo visibile come espressione interpretabile della propria essenza) e la scrittura come trascrizione del mondo.

Questa è la grande crisi post-rinascimentale che Foucault ha analizzato nel suo libro maggiore, Les Mots et les Choses. Nel momento topico denunciato da Foucault, le parole e le cose interrompono la loro antica ed arcana corrispondenza. Da allora, le parole hanno dovuto affannarsi per rincorrere le alienità delle cose. Il reticolo di similitudini che reggeva l’armonia del mondo e la concordia della lingua del mondo è spezzato: tra l’uomo e la stella che regola il suo destino non esiste più la similitudine essenziale che garantiva la collaborazione tra il macrocosmo e il microcosmo (il modo in cui l’uno rifletteva specularmene l’altro); anzi, il concetto stesso di similitudine esce dal dominio della conoscenza.

Da allora in poi avremo somiglianza (l’uomo può avere una faccia porcina, quindi assomigliare a un maiale), non similitudine (l’uomo dalla faccia porcina non ha più nulla da condividere con la porcinità del porco). Il linguaggio, nell’arte e nelle lettere, si impoverisce in uno sforzo mimetico di raccontare il miracolo della somiglianza, non più convalidato dalla necessità della similitudine: cioè come l’uomo dal naso raccorciato, dalle narici dilatate, dagli occhi piccoli e ravvicinati e dalle mandibole sporgenti possa avere un volto che sembra quello di un maiale.

È l’estetica del come se: l’uomo è come se fosse un maiale. Contro la documentazione anatomica (bipide/quadrupede), la classificazione zoologica (homo/sus), le abitudini gastronomiche (l’uomo non mangia ghiande) e le convenzioni linguistiche (il suono nella voce umana differisce dal grugnito), la somiglianza tra uomo e porco cerca invano di rintracciare l’eco di antiche metamorfosi, di significanti similitudini, di fatali sovrapposizioni. Il diverso è ormai meno problematico del somigliante.

Dalla prefazione di Guido Almansi in “Questo non è una pipa” di Michel Foucault, Serra e Riva Editori 1973 Milano, pp. 9-11.