lunedì 20 maggio 2013

Per la prima volta

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Questo libro è nato quando Annita Malavasi, la partigiana «Laila», ha incominciato a parlare d'amore. Era entrata nella Resistenza come staffetta a ventidue anni, a Reggio Emilia, dopo l'8 settembre 1943. Il nome di battaglia lo aveva preso da un romanzo che raccontava di una ragazza sudamericana in guerra al posto del fidanzato ucciso. Non ricordava il titolo. Probabilmente era uno di quei libri edificanti per fanciulle, pieni di avventure, slanci d'amore e atti di eroismo che andavano di moda negli anni Trenta e di cui oggi si è persa la memoria e l'abitudine. Ci teneva a dire una cosa, soprattutto: fu tra i partigiani che, per la prima volta, uomini e donne ebbero pari dignità e che l'uguaglianza, sancita dalla Costituzione a guerra finita, non fu un regalo, ma una conquista e un riconoscimento.

Raccontò che per passare in bici ai posti di blocco mostrava le gambe ai tedeschi e quelli, «fessacchiotti», fischiavano. Per diventare partigiana aveva lasciato il fidanzato. Non si era più risposata. Poi disse: - In montagna, avevo trovato un ragazzo... lui sí, lo avrei sposato se non me lo avessero ucciso -. Fece una pausa, quasi per ricordare, e quando ricominciò a parlare il suo tono di voce era diverso: - Si chiamava Trolli Giambattista, nome di battaglia «Fifa», anche se era coraggiosissimo. È morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944, a ventitré anni. L'ho saputo solo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e il corpo fu ritrovato. Gli porto ancora i fiori. Dev'essere stato importante per me, se anche adesso me lo rivedo davanti agli occhi. L'unico nostro bacio è stato d'addio -.
La testimonianza di Laila fu pubblicata su «D - la Repubblica» il 24 aprile 2010. Arrivarono molte lettere. Alcune erano di vecchi partigiani, e parlavano d'amore. Erano ricordi che riaffioravano a quasi settant'anni dai fatti, un attimo prima di perdersi per sempre. La storia di Annita Malavasi aveva rivelato che la guerra partigiana è una miniera di storie tragiche e meravigliose in procinto di essere dimenticate. E aveva mostrato che la Resistenza è stata soprattutto una rivolta di giovani. Per questo ascoltare, oggi, la voce di chi c'era significa adottare lo sguardo di chi in quegli anni aveva piú o meno vent'anni.

Gli ultimi testimoni diretti della guerra di Liberazione nel biennio '43-45 erano ragazzi e ragazze poco più che adolescenti che, come Laila, sceglievano il nome di battaglia nei libri di avventure, e avevano appena smesso di giocare, persone a cui capitò di innamorarsi e dare il primo bacio, mentre erano in guerra. Nel corso di quei due anni, per la prima volta nella storia d'Italia, maschi e femmine si trovarono a dormire insieme all'aperto, a dividere la paura, l'entusiasmo, il coraggio, a combattere, uccidere e morire fianco a fianco.
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All'inizio del 2012 i partigiani italiani viventi sono qualche migliaio. L'intervista ad Annita Malavasi - quella da cui questo libro è nato - si concludeva cosí: «Sarebbe bello se, per legge, ognuno fosse obbligato ad ascoltarne uno».


Stefano Faure, Io sono l'ultimo - Lettere di partigiani italiani - Einaudi, Torino, 2012, Stile Libero Extra.
Testo tratto dall’Introduzione di GIACOMO PAPI