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Questo libro è nato quando Annita
Malavasi, la partigiana «Laila», ha incominciato a parlare d'amore. Era entrata
nella Resistenza come staffetta a ventidue anni, a Reggio Emilia, dopo l'8
settembre 1943. Il nome di battaglia lo aveva preso da un romanzo che
raccontava di una ragazza sudamericana in guerra al posto del fidanzato ucciso.
Non ricordava il titolo. Probabilmente era uno di quei libri edificanti per
fanciulle, pieni di avventure, slanci d'amore e atti di eroismo che andavano di
moda negli anni Trenta e di cui oggi si è persa la memoria e l'abitudine. Ci
teneva a dire una cosa, soprattutto: fu tra i partigiani che, per la prima
volta, uomini e donne ebbero pari dignità e che l'uguaglianza, sancita dalla
Costituzione a guerra finita, non fu un regalo, ma una conquista e un
riconoscimento.
Raccontò che per passare in bici ai
posti di blocco mostrava le gambe ai tedeschi e quelli, «fessacchiotti»,
fischiavano. Per diventare partigiana aveva lasciato il fidanzato. Non si era più
risposata. Poi disse: - In montagna, avevo trovato un ragazzo... lui sí, lo
avrei sposato se non me lo avessero ucciso -. Fece una pausa, quasi per
ricordare, e quando ricominciò a parlare il suo tono di voce era diverso: - Si
chiamava Trolli Giambattista, nome di battaglia «Fifa», anche se era
coraggiosissimo. È morto nella battaglia di Monte Caio nel 1944, a ventitré
anni. L'ho saputo solo sei mesi dopo, quando a primavera la neve si sciolse e
il corpo fu ritrovato. Gli porto ancora i fiori. Dev'essere stato importante
per me, se anche adesso me lo rivedo davanti agli occhi. L'unico nostro bacio è
stato d'addio -.
La testimonianza di Laila fu
pubblicata su «D - la Repubblica» il 24 aprile 2010. Arrivarono molte lettere.
Alcune erano di vecchi partigiani, e parlavano d'amore. Erano ricordi che
riaffioravano a quasi settant'anni dai fatti, un attimo prima di perdersi per
sempre. La storia di Annita Malavasi aveva rivelato che la guerra partigiana è
una miniera di storie tragiche e meravigliose in procinto di essere dimenticate.
E aveva mostrato che la Resistenza è stata soprattutto una rivolta di giovani.
Per questo ascoltare, oggi, la voce di chi c'era significa adottare lo sguardo
di chi in quegli anni aveva piú o meno vent'anni.
Gli ultimi testimoni diretti della
guerra di Liberazione nel biennio '43-45 erano ragazzi e ragazze poco più che
adolescenti che, come Laila, sceglievano il nome di battaglia nei libri di
avventure, e avevano appena smesso di giocare, persone a cui capitò di
innamorarsi e dare il primo bacio, mentre erano in guerra. Nel corso di quei
due anni, per la prima volta nella storia d'Italia, maschi e femmine si
trovarono a dormire insieme all'aperto, a dividere la paura, l'entusiasmo, il
coraggio, a combattere, uccidere e morire fianco a fianco.
[...]
All'inizio del 2012 i partigiani
italiani viventi sono qualche migliaio. L'intervista ad Annita Malavasi -
quella da cui questo libro è nato - si concludeva cosí: «Sarebbe bello se, per
legge, ognuno fosse obbligato ad ascoltarne uno».
Stefano
Faure, Io sono l'ultimo - Lettere di partigiani italiani - Einaudi, Torino, 2012,
Stile Libero Extra.
Testo tratto
dall’Introduzione di GIACOMO PAPI