Quello che lega i volti e i luoghi, gesti, particolari, frasi riportate o inventate da Zavattini, sembra essere collegato da questo ‘sentire comune’, un’armonia che non è una formula sentimentale romantica o nostalgica, ma è il sentirsi parte di una comunità, essendo tutti e tutto costruttori della comunità stessa, dei suoi valori, delle sue atrocità e bellezze.
Questo sentimento mi ricorda un po’ le cantate di Bach, composizioni settimanali del musicista, scritte per la gente del villaggio, che ogni domenica venivano suonate e cantate nella chiesa.
Ma rivedendo il lavoro di Strand e Zavattini, mi sembra non si possano coltivare nostalgie di nessun tipo, perché la modernità e la freschezza dell’opera rimangono inalterate e, caso mai, ci resta soltanto la constatazione dolorosa che la loro rimane una grande opera sulla coralità del mondo, della quale ci hanno dato l’ultimo realistico affresco, perché di lì a poco tutto questo si sarebbe dissolto, frantumato. Zavattini, la famiglia Lusetti, Hazel e Paul Strand, il sellaio, il farmacista, i bambini, la Dosolina, costruiscono la lunga strada narrativa dove ai lati si snodano cappelli di paglia, la segnaletica del Touring Club, filari e paracarri, Garibaldi dipinto sul muro e i glicini, che non sono inerti fondali per meravigliose nature morte, ma assumono il rilievo attonito della semplicità e del mistero delle cose della vita degli uomini.
Luigi Ghirri, Come un canto della terra, in Paolo Costantini, Luigi Ghirri, Strand. Luzzara. Con 71 fotografie di Hazel Kingsbury Strand sul paese di Cesare Zavattini, Milano, CLUP 1980