"Ecco il nostro vero stato. Esso ci rende incapaci di conoscere perfettamente e d’ignorare del tutto. Noi vaghiamo sopra un centro assai vasto, sempre incerti e sempre malsicuri, sbandati da un capo all’altro. Qualche termine, a cui pensiamo talvolta di attaccarci per renderci stabili, barcolla e ci sfugge, e se noi lo seguiamo, esso si libera dalla nostra stretta per sfuggirci per sempre. Nulla si arresta per volontà nostra! Questo stato che ci è naturale è pertanto il più contrario alla nostra inclinazione: noi ardiamo dal desiderio di trovare un fondo solido e una base costante che si elevi all’infinito; ma tutto il nostro fondamento crolla e la terra si apre fino agli abissi. E’ inutile dunque cercare sicurezza e stabilità. La nostra ragione è sempre in balìa dell’incostanza e delle apparenze: nulla può stabilire il finito tra due infiniti che lo abbracciano e lo schivano" (Blaise Pascal, Pensieri).
Il cardine dell’etica classica è l’ideale della fedeltà a se stessi. L’uomo greco, in analogia con la divinità alla quale vuole rendersi simile, fa in modo di incarnare desideri, volizioni e comportamenti sempre costanti. L’inimicizia e il disaccordo con se stessi sono il sintomo di un’anima lacerata, trascinata in direzioni opposte e soggetta al tumulto di fazioni in conflitto. All’estremo pericolo della scissione del Δαίμων (anima), il saggio antico oppone l’imperativo della componibilità e dell’armonia delle proprie virtù. Con l’avvento della modernità, invece, agli ideali dell’equilibrio, della costanza e dell’armonia, si sostituisce una consapevolezza nuova: 'conoscere se stessi' significa allora dover prendere atto dell’insufficienza e della vacuità della natura umana, mostrarsi come si è, fondere, in uno stesso atto, ricerca di autenticità, coscienza della finitudine e volontà di autoaffermazione. Il mondo contemporaneo sembrerebbe riprodurre, con peso aggravato, la dicotomia tra queste due opposte concezioni del mondo. Quale, tra i due poli dialettici, è in grado di rendere conto della realtà del nostro presente? Che cosa si intende per stabilità? Essa costituisce un fine in sé? E’ sempre auspicabile? E la precarietà è necessariamente una condanna? Non potrebbe costituire il movente per un rinnovamento culturale? E quanto è fruttuoso persistere in questa dicotomia apparentemente inconciliabile?
Il 2 febbraio inizia, allo Spazio dell'Anima, il ciclo di incontri Dialoghi a Soggetto.
Quattro giovani filosofi invitano a prestare i sensi al servizio del più grande tra i beni comuni, l’alleanza che ogni persona può stringere con il desiderio di una vita piena e consapevole.
Gli appuntamenti sono: il 2 febbraio, il 1 marzo, il 29 marzo, il 26 aprile e il 24 maggio alle 20,30 sempre allo Spazio dell'anima. La partecipazione è libera.
Poichè, come chi ci conosce sa, ci piace nutrire l'anima senza dimenticare il corpo, prima degli incontri, dalle 19,30 alle 20,30 sarà possibile consumare un aperitivo trascorrendo insieme un primo momento conviviale. Per questo è richiesto un piccolo contributo: 5 euro per soci e studenti, 8 euro per chi non è socio.