martedì 21 gennaio 2014

Per una politicizzazione dell'etica

Per una politicizzazione dell'etica

Intervista a Slavoj Žižek a cura di Yong-june Park

Pubblicato il 8 dicembre 2013 · in AlfaDomenica
Che cosa deve fare la politica oggi? Nel bel mezzo di radicali cambiamenti – catastrofi ecologiche, fatali mutazioni biogenetiche, conflitti nucleari o comunque militari e sociali, crack finanziari ecc. – in cui a essere in gioco sono i nostri beni comuni, esiste qualcosa come appunto il bene comune? In che misura, cioè, è utile parlare di bene comune?
Secondo me a essere problematica non è la parola «comune», bensì la parola «bene». Infatti, per come la vedo dalla mia prospettiva europea, l’estetica tradizionale era diretta verso qualche Bene supremo. Può essere Dio, l’umanità, l’universo ecc.: siamo portati a vedere questo bene comune come un valore sostanziale supremo per cui tutti dobbiamo lavorare. Però la modernità comincia con Cartesio e poi con Kant, ossia con un’etica che non è più quella del bene comune. Per esempio, in Kant si può trovare un’etica puramente formale, un’etica della legge morale. Qui l’etica non può essere in nessun modo politicizzata, nel senso che non è possibile presupporre alcun bene comune. È invece una questione di decisione.
È proprio questo che trovo problematico nella nozione di bene comune. Cos’è un bene comune oggi? Prendiamo l’ecologia. Probabilmente la maggior parte delle persone, sebbene politicamente diverse, sarebbero d’accordo sul fatto che dobbiamo tutti prenderci cura della terra. Ma se si avvicina lo sguardo, si vedrà che esistono molte ecologie su cui bisogna prendere altrettante decisioni. Detto ciò, la mia posizione è qui estremamente folle: per me la politica ha la priorità sull’etica. Non nel senso volgare, per cui possiamo fare tutto ciò che vogliamo, anche uccidere la gente e subordinare così l’etica alla politica, ma in un senso molto più radicale, per cui quello che definiamo bene comune non è qualcosa che abbiamo già scoperto: consiste, piuttosto, nel prendersi la responsabilità di definire ciò che è il nostro bene.
Come molti ecologisti radicali hanno evidenziato, quanta parte dell’ecologia che pretende di lavorare per il bene della natura implica scelte politiche occulte? Quando si sostiene, per esempio, che la Madre Terra deve essere il nostro bene comune e che il nostro pianeta deve prosperare, perché lo si dice? Perché noi umani lo vogliamo, così possiamo sopravvivere. Dal mio punto di vista, l’ecologia è la più grande macchina egoistica e antropocentrica esistente. La natura è folle: è caotica e soggetta a disastri selvaggi, imprevedibili e privi di senso, e noi siamo esposti ai suoi spietati capricci. Non esiste nessuna Madre Terra. In natura ci sono sempre catastrofi, cose che vanno male, qualche volta un pianeta esplode.
Ciò che voglio mostrare è che, se lo si guarda da vicino, quando ci riferiamo a qualche bene comune superiore, esso è sempre – almeno per come la vedo io – definito dalle nostre priorità segrete. Per esempio, la gente può esclamare: «Oh, stanno costruendo un’altra grande città che distrugge la natura, è orribile!». La risposta abituale, anche di molti ecologisti, è che «dovremmo vivere in un modo più naturale, vicino alle foreste», ecc. No! Un mio amico ecologista tedesco, che apprezzo molto, mi ha detto che questo tipo di risposta è, dal punto di vista ecologico, totalmente catastrofica.
Dal punto di vista ecologico, essendoci tanto inquinamento ovunque, la cosa migliore è raccogliere più gente possibile nelle grandi città; sarebbe così estremamente concentrata e ci sarebbe meno inquinamento pro capite, dunque si potrebbero mantenere relativamente puliti i grandi spazi. […] Ciò che mi preme suggerire, a partire dalla mia posizione, non è qualcosa di politico nel senso che la gente solitamente associa alla politica, come la manipolazione a buon mercato, la corruzione, le lotte di potere ecc.; è politico nel senso delle decisioni fondamentali rispetto alla nostra vita sulla terra e alle decisioni collettive rispetto alle quali dobbiamo assumerci piena responsabilità.