Un
convegno sul nulla. L’idea è venuta allo scrittore Paolo Nori,
che l’ha organizzato, con la complicità della rassegna CentoCage, promossa dal comune di Bologna per
i cento anni dalla nascita di John Cage, nella biblioteca Sala Borsa del capoluogo emiliano. Si è
parlato di tutto e di niente, entro confini che Nori aveva così sfrangiato:
“Quando non c’è niente da dire, o quando non si sa cosa dire, o quando non si
sa cosa fare, o quando non si vede niente, o quando non si capisce niente, o
quando non si sente niente, o quando non si riesce a dormire, o quando non si
vuole mangiare: le astensioni di tutti i tipi, le scene mute, le fotografie
sbagliate, le macchine che restano senza benzina, i sans papier, i sanculotti,
i frigo vuoti, i film muti, i buchi neri, la menopausa, le notti in bianco,
quando si cerca in tutte le tasche e non c’è neanche una sigaretta; i digiuni,
gli anestetici, gli astemi, gli anoressici, gli scioperi; le pianure, le
steppe, i deserti, la siccità, la crisi energetica, i black out, gli annulli
filatelici, le amnesie, la crescita zero, le tinte unite. La calvizie. La
sterilità. Il celibato e il nubilato. L’inappetenza e l’incontinenza. Il buio.
Il silenzio. Il niente. Il nulla”.
(…)
Perché l’inno del
convegno era 4’
33’’di John Cage, il pezzo
in cui il musicista o l’ensemble non suona ma fa ascoltare il silenzio?
“Noi
dovevamo eseguirlo in apertura dei lavori. Poi Carlo Boccadoro aveva un altro
impegno sul lago di Garda e quindi è arrivato solo alla sera e lo abbiamo fatto
in chiusura. È stato per me un momento bellissimo: è stato una specie di
preghiera. L’abbiamo suonato nella versione per clarinetto. L’ha eseguito, per
così dire, Mirco Ghirardini, un clarinettista che ha anche fatto un intervento
sulla musica da ballo. Lui suona alla Scala, suona in Sentieri selvaggi, che è
il gruppo di Carlo Boccadoro, e poi suona in un gruppo di liscio. Ha fondato e
dirige un gruppo che rifà il liscio delle origini, e però son talmente veloci
quei valzer lì che non li balla più nessuno. Lui suona una musica da ballo che
in tutti questi anni non ha mai ballato nessuno nei loro concerti. Il pezzo di
Cage sono stati 4 minuti e 33 secondi di silenzio in cui abbiamo sentito i
rumori della Sala Borsa – è quella la funzione di quel pezzo – ed è stato un
momento proprio quasi meditativo. È stato proprio la chiusura ideale”.
“Che
il silenzio non esiste. Così noi quando l’abbiamo suonato abbiamo sentito i
rumori che c’erano di sopra, quelli del riscaldamento eccetera, che prima
intanto che si parlava non sentivamo. La cosa bella è che quello lì è un pezzo
che, a seconda del posto dove lo fai, cambia tutte le sere, a seconda del
silenzio che c’è lì. Perché ogni posto, forse, ha il suo silenzio. C’è un
racconto di Heinrich Böll, in Racconti
satirici e umoristici, dove c’è uno che lavora alla radio e faceva
collezione di silenzi registrati. Quando era con la sua fidanzata registrava i
loro silenzi e dopo li riascoltava, che era una cosa che alla fidanzata non
piaceva tanto, mi sembra di ricordare”.
(…)
“Quella
lì è in un certo senso la perfezione. E però noi siamo consapevoli di essere
imperfetti, di essere degli esseri limitati. Del resto, quello che forse ha
fatto la cosa più bella è stato Alessandro Bonino, che è stato a casa. In fondo
la relazione più riuscita è stata la sua, perché priva di errori. Però, io sono
anche abbastanza contento che ci sia della gente che accetta il rischio di
sbagliare, anche perché, come dicevo, se non avessi i libri non saprei come
fare... Questo fatto di parlare, di raccontare, di trovare una forma non per
spiegare il mondo ma per raccontarlo, a me sembra proprio bello, e io
personalmente ho bisogno di persone che lo facciano per me. Mi ricordo una
volta, un po’ di tempo fa, ero in Sardegna, per 5 anni sono andato tutti gli
anni a un festival di poesia, il festival di Seneghe. Quel festival lì era
bello anche per la società che si creava: ci si trovava, di sera, alla fine di
tutto, al bar, in questo paesino che per 3 giorni cambiava faccia. Una volta
ero lì con un ragazzo sardo, Diego Zucca, appassionato di palindromi. Io ho
fatto la tesi su Chlebnikov, un poeta russo dei primi del novecento che ha
fatto diversi versi palindromi. Diego Zucca è appassionato di Georges Perec,
che pare abbia fatto il palindromo più lungo del mondo. E c’era un nostro
amico, Luciano Marrocu, che è scrittore e docente di storia contemporanea
all’università di Cagliari, e che era stato assessore alla cultura della
Provincia di Cagliari e militante dell’ex Pci. Dopo un po’ che sentiva, anche
con un po’ di fastidio, ci ha detto: ma voi, invece di far dei palindromi,
perché non fate la rivoluzione? Che è una domanda molto bella. Ecco, io, la mia
impressione, è che far dei palindromi vuol dire fare la rivoluzione. Essere
capaci di maneggiare il linguaggio, essere capaci di parlarsi, di raccontarsi delle
cose, noi siam messi in un modo che questo è già una rivoluzione. Una giornata
di sei ore dove c’è della gente disposta a ascoltare undici persone che
raccontano appunto la menopausa, la materia assente, è quello, in piccolo,
naturalmente. Io, come ascoltatore, non mi son mai annoiato, se vado a vedere
un film che dura un’ora e mezza mi dico: ma io l’ho già vista questa roba,
sembra di averla già vista. Ecco, quella lì è una piccola, microscopica
rivoluzione, mi sembra. Certo, parlare non serve a niente, come guardare una
bella ragazza, a cosa serve?”.
Tratto da “Il nulla a convegno” Una conversazione con Paolo Nori di Massimo Marino
Tratto da “Il nulla a convegno” Una conversazione con Paolo Nori di Massimo Marino