«Cos’è un problema?» (…) «Ho già sentito questa parola» (…) «Ma potresti spiegarmi cosa significa?» Mi sforzai inutilmente di estrarre dalla mia memoria la definizione contenuta nel dizionario. Certo, era strano che in un mondo così affollato di problemi un adolescente non si fosse ancora mai imbattuto in quel concetto.
Alla fine, vedendo che non riuscivo a sfuggire al suo sguardo penetrante, cercai di fabbricare una spiegazione personale. «Un problema è come una porta di cui non hai la chiave.»
«E cosa fai quando ti trovi di fronte un problema?» volle sapere il giovane, sempre più interessato alla conversazione. «Be’, innanzitutto bisogna vedere se il problema è davvero tuo, cioè, se ti blocca il passaggio. Questo è di vitale importanza», gli spiegai, «perché c’è un mucchio di gente che mette il naso nelle cose degli altri, anche se nessuno gli ha chiesto aiuto. E così perdono tempo e forze e impediscono agli altri di trovare la soluzione da sé.» Vidi che annuiva dinnanzi a questa verità lampante, così difficile da accettare per molti adulti. «E se il problema è tuo?» continuò, tornando a fissarmi.
«Allora per prima cosa bisogna trovare la chiave giusta e poi inserirla correttamente nella serratura.» «Sembra facile», concluse il giovane annuendo nuovamente.
«Per niente», obiettai. «C’è gente che non è capace di trovare la chiave, e non perché abbia poca immaginazione, ma perché si rifiuta di provare due o tre volte le chiavi che possiede, e ogni tanto neanche una volta sola. Vorrebbero che gli mettessero la chiave in mano, o peggio ancora, che qualcuno gli aprisse la porta.» «E sono capaci tutti di aprire la porta?» «Se sei convinto di poterlo fare, la cosa più probabile è che tu ci riesca. Ma se pensi di non essere in grado, quasi sicuramente non ce la farai.»
«E cosa succede a chi non riesce ad aprire la porta?» «Devono continuare a provarci finché non ce la fanno, altrimenti non raggiungeranno mai tutto il loro potenziale.» Poi, quasi pensando ad alta voce, aggiunsi: «Non serve a niente perdere le staffe, accanirsi contro la porta e farsi del male, dando la colpa a lei. E neppure rassegnarsi a vivere da questo lato, sognando quello che potrebbe esserci dall’altra parte.»
«E non esiste nessuna ragione valida per non aprire la porta?» chiese il giovane, come se facesse fatica ad accettare qualche porzione dell’idea. «Anzi, tutto il contrario!» esclamai. «La gente ha sviluppato un’immensa capacità di giustificarsi. Spiegano la propria incapacità con la carenza di affetto o di istruzione, oppure con i dolori sofferti. Puoi arrivare a convincerti che è meglio non oltrepassare la soglia, perché dall’altro lato potrebbero esserci pericoli e minacce. O magari puoi dichiarare con cinismo che non t’interessa quello che c’è dall’altra parte. Sono tutti modi per nascondere il dolore provocato dal fallimento.
Più si rimanda il confronto con l’ostacolo, più crescono le difficoltà e si diventa piccoli; in altre parole, più ci si trascina dietro il problema, più diventa pesante.» Sentivo che piano piano il giovane si stava convincendo, ma il persistente sguardo di tristezza e rassegnazione dipinto sul suo viso mi spinse a continuare: «Tutto ciò porta all’infelicità. La strada per la crescita spirituale e la felicità esige il coraggio di crescere e di cambiare. Dobbiamo essere disposti ad abbandonare la comodità della nostra posizione e affrontare i problemi ogni volta che si renda necessario, fino ad avere la soddisfazione di risolverli per poter oltrepassare quella porta e andare avanti.»
«E come faccio a trovare la chiave giusta?» chiese senza darmi il tempo di compiacermi per l’elegante analogia tra il problema e la porta, che ovviamente lui non era in grado di apprezzare. (…) «Come faccio a trovare la chiave giusta?» insistette il giovane, estraneo alle mie riflessioni. Evidentemente, non era di quelli che rinunciano a una domanda dopo averla formulata. «Proprio così!» risposi cercando di nascondere una lieve esasperazione dovuta alla fatica del viaggio. «Cioè, se continui a chiedere le cose e non ti arrendi, finirai per trovare sempre la risposta. E se non ti stancherai di provare tutte le chiavi che possiedi, alla fine riuscirai ad aprire la porta.»
E pensai: “E se continui a ripetere le tue domande per altri due o tre giorni, finirai per farmi diventare ‘completamente matto’, o, come mi tradusse una vocina dentro di me, ‘completamente saggio’”. (…)
«Anche le pecore hanno problemi?»
A.G. Roemmers, Il Ritorno del Giovane Principe, Corbaccio 2012