venerdì 1 giugno 2012

Aperti

L’altro giorno, il 29 maggio, il giorno che al mattino, alle nove, è tirato il terremoto, c’è stata una po’ di gente che mi ha scritto per chiedermi se stavo bene. A me è sembrata una cosa strana perché dove abito io, alla Croce di Casalecchio, tra Bologna e Casalecchio di Reno (ho dei colleghi che vivono tra Milano e Parigi, io mi compiaccio di abitare tra Bologna e Casalecchio di Reno), la scossa l’abbiamo sentita ma non è successo niente di grave, né l’altro giorno né la settimana prima, il 20 maggio, quando il terremoto è tirato di notte, alle quattro del mattino.Allora poi, l’altro giorno, al pomeriggio, quando per radio ho sentito dire che in Emilia i negozi eran chiusi e la gente era ammassata nei parchi, e le scuole eran chiuse, e si faceva fatica a immaginare un ritorno alla vita normale, io mi ricordo mi sono alzato, ho aperto la finestra, ho guardato per strada e mi è sembrato che sotto casa mia i negozi fossero aperti, la gente non fosse ammassata nei parchi, i bambini fossero a scuola, mi è sembrato un giorno normale.
E mi è venuto in mente quando, nel 1993, ero a Mosca, mi era suonato il telefono, avevo risposto era mio fratello che mi aveva detto «Paolo, guarda che lì a Mosca c’è la rivoluzione». E io gli avevo detto «Aspetta un attimo», e avevo appoggiato il telefono sul tavolino, ero uscito sul balcone, avevo guardato a destra, avevo guardato a sinistra, ero rientrato, avevo preso il telefono avevo detto a mio fratello «Guarda che ti sbagli. Non c’è mica, la rivoluzione».
Dopo la rivoluzione, in un certo senso, c’era, ma lontana, in centro; quando c’ero andato, il giorno successivo, avevo visto che alcune stazioni centrali della metropolitana erano chiuse «Per motivi tecnici» e, «Per motivi tecnici», era chiuso anche il telegrafo centrale.
Anche l’altro giorno, al pomeriggio, quando sono andato in centro per restituire un libro in biblioteca, ho trovato che la biblioteca era chiusa «Per motivi di sicurezza», e che Palazzo d’Accursio, il palazzo sede della Biblioteca e anche del comune, era stato sfollato «Per motivi di sicurezza», anche se c’erano una cinquantina di persone, immigrati prevalentemente, che si riparavan dal sole e fumavano delle sigarettte con la schiena appoggiata al muro del palazzo, che se dava giù morivano tutti, e morivo anch’io, ero lì che li guardavo. Ma sembrava impossibile, l’altroieri, che desse giù Palazzo d’Accursio. Anche la gente che c’era lì in piazza del Nettuno, a guardarla, passeggiava, fumava, mangiava, rideva, leggeva, come se fosse un giorno normale. L’unico che aveva l’aria un po’ stralunata era un immigrato che girava con un pacco di copie di un’edizione straordinaria del Resto del Carlino con un titolo cubitale «Paura e morte». Che son stato lì a guardarlo cinque minuti, non ne ha venduta neanche una.
Non so se si capisce, era una cosa stranissima, sopra ai giornali c’era il terrremoto, fuori dai giornali non c’era.
E una volta tornato a casa, l’altro giorno, la stessa cosa succedeva col computer. Fuori dal computer non c’era il terremoto, dentro al computer, su facebook, su twitter, non c’era altro che del terremoto.
Sul profilo twittter di Pierluigi Bersani (seguo su twitter Pierluigi Bersani) c’era una foto di una strada di Mirandola piena di mattoni. Sembrava un fiume di mattoni, come uno tzunami di mattoni, un’ondata di mattoni che aveva distrutto tutto quello che aveva trovato sulla sua strada. E suonava in un modo stranissimo la scritta che c’era sotto: pbersani sta usando Instagram – un modo divertente ed alternativo per condividere la tua vita con i tuoi amici attraverso una serie di immagini. Scatta una foto e scegli un filtro per trasformare lo scatto in un ricordo che rimane per sempre. 
Dopo, l’altro giorno, mi è venuto in mente che a Palazzo d’Accursio c’è anche la farmacia comunale. Allora ho telefonato e mi ha risposto un signore e io gli ho chiesto «Ma siete aperti?». E lui mi ha detto «Sì, siamo aperti». «Ma il palazzo non è evacuato?» gli ho chiesto io. E lui mi ha risposto «Sì, il palazzo è evacuato ma noi siamo aperti».
E, non so, forse è una cosa che non è molto normale, e forse non è neanche tanto sana, ma a me è piaciuto moltissimo, il modo in cui quel farmacista mi ha detto «Sì, il palazzo è evacuato ma noi siamo aperti»; aveva un tono stanco, e mi sono immaginato che fosse vestito benissimo, col suo vestito migliore e mi è venuto in mente, è una cosa che ogni tanto mi viene in mente, mi è venuto in mente quando nella Leningrado assediata dai nazisti c’è stata, il 5 marzo del 1942, la prima della settima sinfonia di Šostakovič. Come per dire: «Voi ci assediate? Voi pensate di ridurci alla fame? E noi ci mettiamo i nostri vestiti migliori, e andiamo nel nostro migliore teatro a sentire eseguire dai nostri migliori musicisti l’ultima sinfonia del nostro migliore compositore».
Paolo Nori da un articolo su Libero 1 giugno 2012