mercoledì 25 aprile 2012

"Parlare del Tempo, significa parlare di qualcos'altro"


L’uomo infatti é integralmente temporale; le sue rughe, i suoi tessuti, il suo sistema nervoso sono nel tempo, ma non solo: anche i suoi pensieri sul tempo sono a loro volta temporali! O meglio: è l’uomo nella sua totalità a essere il - tempo incarnato, un tempo su due gambe, che va, che viene, e che muore.

Pertanto l’uomo non ha alcuna presa sul tempo, noi non possiamo fare altro che sostituire al tempo ciò che non e tempo, confonderlo con quei contabilizzatori sociali che sono gli orologi e i calendari, confonderlo con le cose che facciamo nel tempo, vale a dire con la storicità e con gli eventi che la riempiono. I ritmi del  tempo possono accelerarsi per effetto della tecnica, ma la tecnica non é a sua volta in presa diretta sul tempo, può solo misurare, con i suoi metronomi, i ritmi del tempo e gli intervalli di tempo della temporalità, cioè la velocità; essa riduce il tempo alla parte  comprimibile e materializzabile della cronologia, in altre parole durata scandita dal cronometro.

Anche la luce, benché vertiginosamente rapida, non è onnipresente e impiega un certo tempo a  percorrete le immensità cosmiche. La velocità, per quanto fantastica sia, differisce per natura e interamente dall’istantaneità, che è ubiquità e atemporalità: tra la velocità della luce e l’istantaneità c’é ancora un’infinita distanza. Questa frazione di tempo infinitesimale non è forse il suggello della nostra finitudine? Il tempo è consustanziale al nostro pensiero, alla nostra esistenza, a tutti i  nostri atti, è carne della nostra carne, e l’essenza invisibile del nostro essere e la quintessenza invisibile della nostra essenza. La sola cosa che possiamo fare è non tanto strappargli un segreto - nemmeno una briciola di questo segreto — e neppure pensarlo, ma piuttosto viverlo e riviverlo inesauribilmente, disperatamente.

Vladimir Jankélévitch - da V. Jankélévitch, B. Berlowitz, Da Qualche Parte nell'incompiuto, Einaudi 2012