giovedì 20 marzo 2014

Attitudine filosofica


Un silenzio ha dovuto sempre precedere e persino originare l'attitudine filosofica, e stabilirla fino a trasformarla in un'attitudine determinante. Poiché ciò che caratterizza il filosofo non è già il darsi in lui dell'attitudine, ma il mantenerla, analogamente a quanto accade con qualsiasi altra attitudine (poetica, politica). "Tutti gli uomini hanno per natura desiderio di sapere" - appetito, diremmo - si legge in Aristotele. Non tutti però alimentano e formalizzano questa fame.

In quello sradicamento dal luogo comune che un'attitudine filosofica comporta, il soggetto corrispondente deve avere qualcosa cui rimettersi. Senza un rimettersi un distacco non si dà. Quando si tratta però di qualcosa che si cerca, del sapere che si cerca, rimettersi a esso, a ciò che si cerca, è già una forma molto specifica del trascendere proprio dell'essere umano, e, nel punto di partenza si verifica senza dubbio un'incompatibilità.

Dire incompatibilità è un modo molto blando di esprimere l'impossibilità di continuare a vivere, se si continua così,  nella comunità in cui ci si è trovati. Sarà però possibile risolverla andando in cerca di un'altra comunità o società, come in effetti hanno fatto tanti avventurieri, conquistatori e guerrieri? Questo sarebbe semplicemente spirito di avventura Anche se  non è poi così semplice, dato che nello spirito di avventura si entra quando l'avventura ne vale la pena, quando si spera di raggiungere il meraviglioso. 


(...)

La filosofia mediatrice, come l'amore, nata dall'ignoranza e dal sapere, originata dall'entusiasmo, è un delirio, un'ispirazione, un'irreprimibile possessione, ci dice Platone. Una passione, perciò, una passione che conduce alla morte, a una vita, a una conoscenza. Un'obbedienza. E l'"appetito" che dice Aristotele non infrange per nulla quest'obbedienza poiché sfocia nel massimo conseguimento di ciò che si appetiva: in un ordine, coniugazione di movimento e immobilità, circolazione della luce senza intralci. 

E', dunque, molto di più di quel rimettersi di cui parlavamo ciò che Platone ci offre: è una possessione ispirata che può persino farci dimenticare che si abbandona la casa del Padre. Poiché quest'ispirazione e questo sapere che lascia indietro se stesso, quest'ignoranza che accoglie e che è ben disposta a ricevere questo sapere, sono al di la di qualsiasi giustificazione. Ed è chiaro che soltanto ciò che è al di là di qualsiasi giustificazione giustifica. In questa luce tutta la moderna giustificazione del filosofare e persino del pensare appare fatica sprecata. Si sono persi di vista, forse, l'ispirazione e il sapere che si spande sopra l'ignoranza e l'ignoranza  che accoglie il sapere? Ed è rimasto soltanto qualcosa che non si giustifica, né aspira  a farlo. (...)

La domanda giustificava e giustificatrice, giustificazione essa stessa, cela qualcosa che la muove, la presenta e anche di più: la origina. Qualcosa che si occulta, quand'anche si palesi; un punto fisso. Un solo punto, all'inizio, che va ampliandosi, crescendo, rappresentandosi, fino a trasformarsi in un autentico personaggio. In questo caso l'Io, l'Io. L'Io che si dichiara in ogni dubbio metodico. l'Io che agisce in ogni dubbio ostinato, quand'anche manchi di metodo, quand'anche, al contrario, con la sua ostinazione ostruisca il cammino, copra l'orizzonte.

Maria Zambrano "I Beati";  SE Testi e Documenti 2010