martedì 17 luglio 2012

Filosofia da Camera

La filosofia da camera sta alla filosofia sinfonica come la musica da camera sta alla musica sinfonica: un modo privato, personale, intimo da filosofare. Mentre Platone, Aristotele, Cartesio, Spinoza, Kant, Hegel, Husserl, virtuosi della filosofia sinfonica, ci parlano da spirito a spirito, da intelletto a intelletto, e si rivolgono a un noi.

Il filosofo da camera osserva il suo mondo dall’intimità della propria camera. Il filosofo da camera è uno che riflette sulla natura umana, sui costumi, sulla condizione umana.

Per “anima” intendo qui il complesso delle attività organiche, psichiche e mentali cui si dedicano gli esseri umani in quanto tali. In pieno accordo con Aristotele, ritengo che gli esseri umani (non) siano (che) corpi che si realizzano e si esprimono secondo funzioni e funzionamenti diversi. Gli esseri umani non hanno un corpo, sono un corpo; questo corpo non è parte di loro, è interamente loro. Per convenzione quindi, e anche per comodità, indico con “anima” il complesso delle funzioni e dei funzionamenti che costituiscono il nostro corpo nella sua unità vivente e attiva.

E’ nell’ambito di quest’anima attiva e unificante che distinguo l’anima bassa, l’anima media e l’anima alta. Con anima bassa intendo il funzionamento organico del mio corpo, con anima media il funzionamento affettivo del mio corpo, con anima alta il funzionamento intellettuale del mio corpo: l’anima bassa comprende l’organicità del mio corpo, l’anima media comprende le passioni del mio corpo, l’anima alta comprende la ragione del mio corpo. Anima bassa in quanto serve all’anima media e all’anima alta da fondamento, da base di esistenza, da zoccolo su cui questi si poggiano per potersi esprimere.

Sono interamente quello che respira, quello che ama e quello che parla. Il mio “io” è interamente organico, interamente affettivo e interamente mentale. Ciascuna delle mie anime ha il suo compito da svolgere nell’unità del mio tutto.

Prendere coscienza del fatto che sogno, proprio mentre sogno, mi fa prendere direttamente contatto con la mia anima bassa mentre essa è in azione. Un altro modo che ha la mia anima bassa di ricordarmi la sua esistenza è attraverso il dolore. Essere in buona salute equivale precisamente a non essere cosciente del funzionamento dell’anima bassa. Si è in buona salute quando non ci si lamenta di nulla: essere in buona salute, è per l’appunto non essere coscienti del proprio corpo.

Non un edonista hard, ma un edonista soft, moderato, leggero.

Vivere nel mondo delle idee, amare il proprio dio, agire secondo le leggi morale, tendere verso un ideale, porta a un’intima sensazione di soddisfazione e di benessere direttamente collegata al piacere che ne traiamo: proprio come mangiare, cantare, ballare, questo piacere ci collega ineluttabilmente alla nostra anima bassa.

Io preferisco le tranquille camminate di mezza montagna. Partire presto la mattina con lo zaino in spalla, al levar del sole, seguire sentieri appena tracciati, tenere il passo in salita e in discesa, sentire il cuore battere, i muscoli contrarsi, il sudore colare. Il paesaggio che si ammira dall’alto, il fondo di la gola in cui ci si trova, il pendio su cui ci si ferma a bere e contemplare. Ma soprattutto sento il mio corpo, nel riposo dallo sforzo e nel piacere di aver superato la prova.

Nel corso di tutta la vita ho molto pensato, immaginato, riflettuto sulla mia morte. Esercitarsi a morire, ecco un’ingiunzione classica della saggezza antica, imparare a vedere le cose sotto l’aspetto dell’universalità, della continuità, della permanenza, passare dal panico cieco all’accettazione lucida. Vorrei evitare tanto il panico, l’angoscia, la paura paralizzante quanto il fascino, il richiamo, il sublime della trascendenza.

Pensare la mia morta come orizzonte della mia vita mi pare un modo giusto di pensare la mia vita, di considerare una maniera di vivere confacente tanto alla mia vita come alla mia morte. La mia vita ha il senso che io le do o cerco di darle. Non bisogna dunque temere la morte, bisognerebbe persino desiderarla, poiché grazie a essa si aprono per noi le porte della sola vita degna di essere vissuta. In questo contesto spiritualista, si parla sì della morte, ma non della morte come noi la sentiamo: si ignora la morte che noi viviamo, per considerare la morte che noi attraversiamo.

Per il filosofo la morte è un avvenimento metafisico, un avvenimento che trascende la fisica dei nostri corpi per integrarsi in una visione più generale del mondo e dell’umanità. La mia morte, proprio come la mia vita, appartengono “naturalmente” al mio essere umano, nel mondo naturale in cui vivo e muoio. Devo imparare a controllare la paura di questo ignoto che mi attende e di cui non so che ciò che ho potuto imparare della morte degli altri, e anche dal panico degli altri di fronte alla loro morte. Devo imparare a morire prima di morire. Ritrovo in questo uno degli scopi della saggezza antica che mi hanno più colpito, imparare a morire per vivere bene.

La morte di ciascuno di noi è una trasformazione voluta dalla natura che ci governa, e dobbiamo saperla accettare, come dobbiamo accettare tutto ciò che viene dalla natura. La morte non è una cessazione di essere, è un avvenimento in una continuità. Non so quando anch’io cadrò nel fossato e lascerò gli altri continuare senza di me. La morte altrui è una ferita nella mia vita e un richiamo alla mente della mia morte; il suo modo di morire è una rievocazione dei diversi modi in cui io potrei morire.

da Jacques Schlanger Filosofia da Camera – 2003