giovedì 27 ottobre 2011

La fiamma della vita

Un tempo – tempo dimenticato dai sogni stessi -la fiamma faceva pensare i sapienti: al filosofo solitario regalava mille sogni. Sul tavolo del filosofo, accanto agli oggetti prigionieri della loro forma, accanto ai libri che istruiscono lentamente, la fiamma della candela richiamava pensieri senza misura, evocava immagini senza limite. La fiamma diventava allora per un sognatore di mondi un fenomeno del mondo. Stavamo studiando in grossi libri il sistema del mondo, ed ecco che una semplice fiamma – ironia del sapere! – viene direttamente a proporci il suo enigma. Dentro una fiamma non vive forse il mondo? E la fiamma non ha anch’essa una vita? Non è forse il segno visibile di una creatura intima, il segno di una potenza segreta? Non contiene forse tutte le contraddizioni interne che dànno ad una metafisica elementare il suo dinamismo? Perché cercare dialettiche di idee quando abbiamo, proprio alla radice di un fenomeno semplicisssimo, dialettiche di fatti, dialettiche di esseri? La fiamma è un essere senza massa, eppure è un essere forte.
Se, accoppiando le immagini che uniscono la vita e la fiamma, volessimo scrivere contemporaneamente una «psicologia» delle fiamme e una «fisica» dei fuochi della vita, che campo sterminato di metafore dovremmo esaminare! Metafore? In quell’età di sapere remoto in cui la fiamma faceva pensare i sapienti, le metafore erano pensieri. Ma se il sapere dei vecchi libri è morto, l’interesse di réverie rimane. Cercheremo in questo libriccino di tradurre in réverie primaria tutti i nostri documenti, ci provengano essi dai filosofi o dai poeti. Tutto ci appartiene, tutto ci riguarda quando nei nostri sogni o nella comunicazione dei sogni degli altri ritroviamo le radici della semplicità. Davanti ad una fiamma, noi comunichiamo moralmente con il mondo. Persino in una veglia semplice e qualsiasi la fiamma della candela è il modello di una vita tranquilla e delicata. Certo, il minimo soffio la scompone, esattamente come un pensiero estraneo nella meditazione di un filosofo in meditazione. Ma quando giunge davvero il regno della vera solitudine, quando davvero suona l’ora della tranquillità, allora regna la stessa pace nel cuore del sognatore e nel cuore della fiamma, allora la fiamma conserva la sua forma e corre diritta come un pensiero sicuro verso il suo destino di verticalità.
Così, al tempo in cui si sognava pensando, si pensava sognando, la fiamma della candela poteva essere un manometro sensibile della tranquillità dell’anima, una misura della calma fine, di una calma che scende fin dentro ai dettagli della vita – di una calma che dona la grazia della continuità alla durata che accompagna una reverie tranquilla.
Volete essere calmi? Respirate piano davanti alla fiamma leggera che, posatamente, fa il suo lavoro di luce. (…)
Jean Cassau sognava sempre di abbordare il grande poeta Milosz con questa domanda degna di un principe regnante: «Come sta la Vostra Solitudine? »
Questa domanda ha mille risposte. In quale centro dell’anima, in quale angolo del cuore, in quale meandro dello spirito un grande solitario è solo, davvero solo?
Solo? Imprigionato o consolato? In quale rifugio, in quale cella, il poeta è un vero soliitario? E quando anche tutto il resto cambia a seconda dell’umore del cielo e del colore dei sogni ogni espressione della solitudine del grande solitario deve trovare la sua immagine. «Impressioni» di questo tipo sono per prima cosa immagini. Bisogna immaginare la solitudine per conoscerla – per amarla o per difendersene, per essere tranquilli o coraggiosi. Quando si vorrà fare la psicologia del chiaroscuro psichico nel quale si rischiara o si ottenebra questa coscienza del nostro essere, sarà necessario moltiplicare le immagini, raddoppiare ogni immagine. Un uomo solitario nella gloria del suo essere solo crede a volte di saper dire cosa è la solitudine. Ma a ciascuno la sua solitudine. E il sognatore di solitudine non può darci che qualche foglio di quest’album del chiaro scuro delle solitudini.
Quanto a me, in comunione completa con le immagini che mi vengono offerte dai poeti, in comunione completa con la solitudine di altri, mi faccio solo con le solitudini altrui.
Mi faccio solo, profondamente solo, con la solitudine di un altro.
Ma bisogna, naturalmente, che questa sollecitazione alla solitudine sia discreta, che sia per l’esattezza una solitudine d’immagine: se lo scrittore solitario mi vuole raccontare la sua vita, tutta la sua vita, mi diventa subito un estraneo. Le ragioni della sua solitudine non saranno mai le ragioni della mia. La solitudine non ha storia. Tutta la mia solitudine è contenuta in un’immagine primaria.
Ecco allora l’immagine semplice, il quadro centrale nel chiaroscuro dei sogni e del ricordo. Il sognatore è al suo tavolino: è nella sua mansarda: accende la sua lampada. Accende una candela. Accende la sua bugia. Ed ecco che io mi ricordo, ecco che mi ritrovo: anch’io, come lui, veglio. Studio come lui studia. II mondo è per me, come per lui, il libro difficile illuminato dalla fiamma di una candela. Perché la candela, compagna della solitudine, è soprattutto la compagna del lavoro solitario. La candela non illumina una cella vuota: illumina un libro.
Solo, di notte, con un libro illuminato da una candela – libro e candela, doppio isolotto di luce, contro le doppie tenebre dello spirito e della notte. Io studio! Non sono altro che il soggetto del verbo studiare.
Pensare, non oso.
Prima di pensare, si deve studiare.
Solo i filosofi pensano prima di studiare
Ma la candela si spegnerà prima che il libro difficile venga capito: non si deve perdere nemmeno un minuto di luce della candela, le ore della vita studiosa.
Se alzo gli occhi dal libro per guardare la candela, invece di studiare, sogno. Allora le ore fluttuano nella veglia solitaria. Le ore fluttuano tra la responsabilità di un sapere e la libertà delle réveries, questa troppo facile libertà dell’uomo solitario.
L’immagine di un uomo che veglia al lume di candela mi basta per cominciare a mia volta a fluttuare tra i pensieri e le reveries. Si, sarei turbato se il sognatore che è al centro dell’immagine mi dicesse le ragioni della sua solitudine, una remota storia di oltraggi della vita. Ah, il mio passato da solo è sufficiente ad appesantirmi. Non ho bisogno del passato degli altri. Ho bisogno invece delle immagini degli altri per colorare di nuovo le mie. Ho bisogno delle reveries degli altri per ricordare il mio lavoro sotto le fiammelle, per ricordare che sono stato io stesso un sognatore di candela.
Da: G. Bachelard, La fiamma di una candela, trad. di Marina Beer, Editori Riuniti