domenica 14 novembre 2010

Ancora su... perchè tornare alle cose

La categoria dell'essere era al centro della coscienza medievale e il tipo di conoscenza che i filosofi elaboravano del mondo quale lo percepivano intomo a loro non scalfiva questa intuizione, dato che il mondo visibile appariva loro il testo di ciò che Dio diceva alla sua creatura, attraverso segni e simboli, cosicché la materialità nelle cose  risultava come consumata da questa presenza in esse della significanza divina.

Ma il linguaggio è costituito da concetti, che non possono far altro che collegarsi agli aspetti delle cose come esse si presentano nell'approccio empirico, aspetti articolabili ad altri aspetti in altre cose e spesso per ragioni diverse che esprimere la volontà di Dio; fu questa lettura, di lì a poco intrapresa da una nuova forma di pensiero, a far nascere un'altra scienza. Quest'ultima escludeva ormai i segni e i simboli del passato, incentrati non tanto sulla natura dei fenomeni quanto sui modi di esistere degli esseri e sui loro rapporti con i fini ultimi.

E venne un giorno in cui questa lettura esclusivamente tramite concetti fu sufficientemente ampia e coerente da essere ritenuta da molti l'unica realtà, il che produsse un gran numero di conseguenze.

Non più delle esistenze ci si interessava, infatti, ma di oggetti: non più questa massiccia quercia, qui e ora, tra i cui rami stormivano voci, ma la quercia cosa, oggetto di analisi e di manipolazione. Oggetti, non più essere. E tra questi oggetti era inevitabile che si venisse a porre anche la persona umana. Per dirla in altri termini: tutto divenne significazione, e tramontò negli animi l'esperienza del divino, il che non è forse grave, ma con essa purtroppo si eclissò anche la nozione di senso, quella che permette di chiedersi se la vita ha "un senso" o meno, se vale la pena di essere vissuta.

Yves Bonnefoy da "Il poeta e il fluire ondeggiante delle moltitudini" – Moretti & Vitali – Bergamo 2009