mercoledì 19 febbraio 2014

Gelosia di vivere


Quel che mi stupisce sempre è la povertà delle nostre idee sulla morte mentre siamo cosi pronti a sottilizzare in altri argomenti. È un bene o è un male. Ne ho paura o la invoco (dicono). Ma questo prova anche che tutto ciò che è semplice ci supera. Che cos'è l’azzurro e che cosa pensare dell' azzurro? La stessa difficoltà per la morte. Della morte e dei colori, non sappiamo discutere. Pure, ciò che importa è quest’uomo davanti a me, pesante come la terra, che prefigura il mio avvenire. Ma posso pensarci veramente? Mi dico: io devo morire, ma non vuoi dire nulla, perché non arrivo a crederlo e non avere altro che l’esperienza della morte altrui. Ho visto della gente morire. Soprattutto, ho visto morire dei cani. Era toccarli che mi sconvolgeva. Allora penso: fiori, sorrisi, desideri di donne, e capisco che tutto il mio orrore di morire dipende dalla mia gelosia di vivere. Sono geloso di coloro che vivranno, per i quali fiori e desideri di donne avranno tutto il loro senso di carne e di sangue. Sono invidioso, perché amò troppo la vita per non essere egoista. Che m'importa dell’eternità? Un giorno si può essere in un letto e sentirsi dire: “Voi siete forte e io debbo essere sincero con voi: posso dirvi che state per morire;” essere là con tutta la propria vita tra le mani, la paura nelle viscere e uno sguardo idiota. Che significato ha il resto? Fiotti di sangue mi pulsano alle tempie e mi sembra che potrei schiacciare tutto intorno a me.

Ma gli uomini muoiono loro malgrado, nonostante te cose di cui si circondano. Si dice loro: “Quando sarai guarito...,” e muoiono. Io non voglio questo. Perché, se esistono giorni in cui la natura mente, esistono giorni in cui dice il vero Djemila dice il vero questa sera, e con quale triste e insistente bellezza! 
Quanto a me, davanti a questo mondo, non voglio mentire ne che mi si menta. Voglio portare la lucidità sino in fondo e guardare la fine profondendo tutta la mia gelosia e il mio orrore. Ho paura della morte nella misura in cui mi separo dal mondo, nella misura in cui mi affeziono alla sorte degli uomini che vivono, invece di contemplare il ciclo che dura. Creare delle morti coscienti significa diminuire la distanza che ci separa dal mondo, e entrare senza  gioia nel compimento, coscienti delle immagini che esaltano un mondo perduto per sempre. E il canto triste delle colline di Djemila mi imprime più profondamente nell'anima l'amarezza di questo insegnamento.


Albert Camus da “Il vento a Djemila” in L’Estate e altri saggi solari, Bompiani, 1989