venerdì 20 settembre 2013

In un lago di segni

Eh, attento agli specchi!

La moltiplicazione è in agguato! Stormi di specchi volano intorno agli umani. Starnazzano e ci sfiorano con l'ala. Ci spiano. Segno e specchio forse sono nati insieme.

Gli umani sono animali che vivono immersi in un lago di segni, si cibano di segni, respirano per mezzo di segni; e tutto questo forse in virtù di una remotissima esperienza speculare.

Stai attento a quanti specchi, dovunque ti giri: in casa, per le strade, ma anche nella filosofia, nell'arte, nei sogni, negli incubi.

Sferoidi riflettenti sono le microscopiche gocce di pioggia che, innumerevoli, fanno aprire a ventaglio la magarìa multicolore degli arcobaleni. Specchi a migliaia si annidano nei caleidoscopi, nelle sfaccettature di un brillante che accende l'incavo di un seno femminile, nei telescopi più grandi del mondo, nelle fibre ottiche su cui si ramifica il sistema della comunicazione planetaria, nei centomila teatri dello spazio é della mente.

Troppi. Anche solo l'idea di elencarne una minima parte è assurda.

Persino la parola pensare allude a qualcosa di specchiante. Pensare e tradurre il pensiero in linguaggio: quanti specchi! Già il dire io sono, cioè "assistere" alla mia esistenza e saperla in qualche modo identificare, è qualcosa che avviene nel magico mondo degli specchi. Se dico io sono, lo dico grazie al linguaggio articolato, ma prima ancora lo dico (e lo penso) grazie alla mia capacità di riflettere sulla mia esistenza, sul mio starmene a pancia all'aria nel mondo.

Gli umani hanno questa straordinaria prerogativa: possiedono uno specchio conficcato e compresso nel cervello. Sono insomma capaci di "guardare" se stessi mentre esistono. (E in questo, forse, sono a loro volta riflessi di un'intelligenza divina).

È la coscienza, "scienza di sé".

Speculare, riflettere: sono queste le parole che si riferiscono all'esercizio del pensare, a quello che insomma fanno i teoreti nella loro quotidiana attività lavorativa... Ri-flettere: ecco la divaricazione da cui sgorga il pensiero, il divertimento metafisico dell'essere. Guardare dall'esterno quello che avviene all'interno. Io penso me stesso mentre penso. E comincio a segnare il breve giro di compasso del mio essere me.

Ed è da qui che nasce lo sconquasso: la scoperta e l'esperienza dell'identità finisce col diventare problema tormentoso, se non addirittura un dramma. 

Appena scopro la mia identità, comincio a ficcare paletti tutt'intorno, a circoscrivere il campo, comincio a creare una caterva di distinzioni. Attraverso la percezione dell'identità, scopro l'alterità, il diverso, il plurale. Altri specchi.

Ma forse tutto l'universo sonnecchia come una balena pigra, sospeso e poggiato su se stesso. Guarda se stesso e pensa. Riflette.

"Allora questi concepì il pensiero 'possa io essermi', e mentre pregava si mise in moto" (Upanishad).

(Intorno ad esso una quantità incalcolabile di non-universi, quello che a occhio e croce i teologi e i bimbi chiamano ingenuamente il nulla. Il nostro mondo se ne sta pigro e disteso davanti a questa specie di invisibile mare e riflette).


Alfonso LentiniPiccolo inventario degli specchi, edizione Nuovi Equilibri, Viterbo, 2003, Pagina 93