giovedì 26 settembre 2013

Il corpo è diverso da come si pensava



Ma con cosa credi di capire?
Con la testa? Bah!”
da «Zorba il greco»
di Nikos Kasantzakis

In una limpida mattina newyorkese dei primi anni ’80 fui invitato a casa da Rosemary Feitis – che conosceva il mio specifico interesse per il tessuto connettivo e le sue implicazioni – per provare una nuova forma di terapia craniosacrale apparsa di recente.
Le sensazioni provate durante la seduta erano state abbastanza interessanti, ma la parte più intrigante doveva ancora arrivare. Infatti quando mi rimisi in piedi sentivo testa e volto molto differenti da prima (e anche alquanto asimmetrici) e mi guardai allo specchio per verificare se le mie sensazioni soggettive avessero un qualche riscontro oggettivo.
Effettivamente l’occhio destro era molto più cupo e torvo ed il sopracciglio corrispondente decisamente più basso e chiuso (classici sintomi di una marcata torsione dello sfenoide, l’osso chiave di volta dell’intera struttura craniale). In quel momento mi sarei aspettato che il ribilanciamento dovesse passare attraverso un’ulteriore manipolazione, mentre l’imprevisto suggerimento di Rosemary fu qualcosa del genere: “Prova a ‘ribaltare’ indietro l’emisfero destro”.
Confesso che il primo impulso (e forse anche il secondo) fu quello di pensare a come avevo potuto non accorgermi, negli anni in cui ci eravamo frequentati e avevamo lavorato insieme, che fosse pazza. Considerato però che in precedenza aveva sempre dato prova di spessore e credibilità provai – con molto scetticismo, lo ammetto –, a fare ciò che mi sembrava una delle tante trovate new age che andavano di moda in quel periodo.
La sensazione interna cambiò radicalmente. “Caro vecchio amico placebo...”, pensai subito, certo che si trattasse di semplice suggestione. Salvo poi rimanere di stucco quando, trovandomi nuovamente di fronte allo specchio, notai una decisa riorganizzazione delle ossa craniche, ottenuta nel giro di pochi secondi e senza alcuna tecnica manuale, per cui la struttura del cranio era tornata simmetrica.
Oggi, grazie alle ricerche che nel frattempo sono state condotte sul tessuto connettivo, mi risulterebbe più semplice descrivere anche in termini anatomici e fisiologici come e perché si fosse potuto verificare questo cambiamento, ma ai tempi potevo solo pensare che o si era trattato di un’illusione, o il modo che abbiamo di pensare al corpo è molto diverso e assolutamente riduttivo rispetto alla sua effettiva realtà.
Lo studio del corpo e dell’anatomia per via esperienzale non mi lasciarono molti dubbi su quale fosse la risposta corretta. L’esperienza che avevo appena vissuto appariva estremamente bizzarra e stravagante rispetto alla mia formazione scientifica, ma al tempo stesso, e paradossalmente, quanto di più semplice, ovvio e naturale si potesse immaginare.
L’approccio esperienziale all’anatomia cambia radicalmente la comprensione del corpo. I primi anni che ho dedicato all’esplorazione del corpo in questo senso sono stati di vera e propria ri-programmazione delle conoscenze tradizionali.
Le cose stanno infatti in modo davvero molto diverso da come viene ancora insegnato nelle professioni mediche e paramediche. Buona parte dei paradigmi anatomici a cui facciamo riferimento non sono soltanto superati. Sono fuorvianti.
Questo ha permesso quindi di creare una continuità tra scienza ed esperienza, là dove nel caso di molte tecniche, prima esisteva invece un profondo canyon valicabile solo con la fede e l’adozione di linguaggi arcani o appartenenti a culture estremamente differenti dalla nostra.
Torniamo ad esempio al ‘ribaltamento’ dell’emisfero cerebrale citato nell’aneddoto iniziale: è ovviamente del tutto inspiegabile o enigmatico secondo la visione medica classica di un cervello inerte e insensibile sospeso in un liquido, chiamato cefalorachidiano, all’interno di una scatola, chiamata cranio. Vengono in mente quei vecchi film di fantascienza dove cervelli galleggiano in liquidi sconosciuti dentro scatole trasparenti.
Se invece pensiamo che il cervello è costituito per la gran parte da tessuto connettivo contrattile e sensibile (glia), coordinato dal sistema nervoso che ne ottimizza la forma e le caratteristiche a seconda delle necessità, l’idea di un cervello non meccanicamente passivo ci appare decisamente meno assurda di prima.
Ok, il corpo non è come pensavamo e allora? C’è un piccolo ma fondamentale corollario a questo fatto: se è possibile percepire in maniera precisa la diversa organizzazione interna che il corpo assume in relazione alle diverse situazioni, quello con cui ci ritroviamo non è solo un corpo diverso, ma anche un potente mezzo di indagine e di penetrazione della realtà e della cultura.
Corpo-Mente-Spazio-Cultura sono infatti in continua relazione e la possibilità di sentire e capire un polo (il corpo) ci permette di capire tutti gli altri.
Il mio senso di riconoscenza per l’anatomia esperienziale deriva proprio da questo. L’approccio esperienziale all’anatomia mi ha consentito infatti di iniziare un percorso professionale di ricerca che non ha “ribaltato” solo il mio emisfero cerebrale destro, ma anche tutta la mia comprensione della psicoanalisi e della psicoterapia, del nostro funzionamento psicologico e caratteriale, a partire dall’osservazione che pensieri ed emozioni differenti emergono da corpi differenti.
Mi ha dato gli strumenti per esplorare quelle che in precedenza erano le inafferrabili relazioni corpo-spazio, per cominciare finalmente a comprendere, sia esperienzialmente che teoricamente, le misteriose regole del “genius loci” o del “feng-shuei”. Per capire, sentendone l’effetto a livello fisico, le relazioni umane a un livello diverso da quello che ero in grado di cogliere prima. Per percepire con chiarezza perché i metodi tradizionali di insegnamento non possono che fallire e per individuare un possibile sviluppo di stili didattici diversi, neuro-ergonomici per l’organismo di chi apprende. Per notare come il nostro modo di vestire non cambia solo il nostro aspetto esterno, ma anche il nostro corpo e, di conseguenza, la nostra mente. Per rinnovare il rapporto con lo sport che, esaurita la passione agonistica, stava diventando un’occupazione sempre più noiosa e che invece si è rivelata una fonte inesauribile di piacere e interesse per le continue trasformazioni e opzioni che si aprono all’interno del corpo. Per riavvicinarmi e gustare a un altro livello tecniche corporee occidentali, come ad esempio il metodo Feldenkrais e la terapia cranio-sacrale, o orientali, come lo yoga e il tai-chi, che avevo praticato in precedenza e che avevo poi abbandonato. Per ritrovare interesse per i viaggi, grazie alla possibilità di leggere una cultura anche attraverso il corpo della popolazione di cui è espressione. Per avere una nuova chiave di lettura delle relazioni tra la politica, il corpo dei suoi leader e quello dei loro elettori. Per percepire le malattie non come guasti accidentali dell’organismo causati da virus, batteri, sfortuna, genetica o altro, ma come esito naturale di specifiche organizzazioni e strategie fisiche e culturali. Per riscoprire forme sofisticate di medicina, come quella tradizionale cinese, quella ayurvedica e quella omeopatica – il cui studio avevo finito per trascurare perché mi sembrava diventare sempre più un atto di fede – mentre ora risultavano espressione chiara e naturale di quel nuovo intendimento.
Mi ha permesso infine di cogliere che la spiritualità sentita – la percezione che tutte le persone e le cose del mondo si appartengono e sono legate insieme (res-ligo, da cui la parola religione) – non è l’esito di un allontanamento dal corpo, quanto invece di un incarnarsi più profondamente in esso.

Jader Tolja
Dalla postfazione al libro di Bonnie Bainbridge Cohen,  Sensazione, Emozione, Azione - Somatica Edizioni, 2011