«Il confronto con le ricerche di Uexküll
è una delle cose più fruttuose che oggi la filosofia possa far propria dalla
biologia».
M. Heidegger
(Concetti fondamentali
della metafisica)
Chiunque viva in campagna, o sia andato
in giro tra i boschi con il proprio cane, avrà fatto la conoscenza di un
minuscolo animale che, appeso tra i rami dei cespugli, attende la preda (sia
umana che animale) per lasciarsi cadere sulla vittima e nutrirsi del suo
sangue. A quel punto l'animale, lungo da uno a due millimetri, si gonfia fino a
raggiungere la grandezza di un pisello.
La zecca non è pericolosa, ma
costituisce un ospite fastidioso sia per i mammiferi che per l'uomo. Studi
recenti sono riusciti a far luce su molte particolarità della sua vita, tanto
che ora è possibile tracciarne un quadro quasi completo.
Quando l'uovo si schiude, la zecca non è
del tutto formata poiché le mancano ancora un paio di zampe e gli organi
sessuali. In questo stadio, però, è già capace di attaccare animali a sangue
freddo come le lucertole, che attende sulla punta di uno stelo d'erba. Dopo
diverse mute, nel parassita si sviluppano gli organi mancanti. A questo punto
può dedicarsi anche alla caccia di animali a sangue caldo.
Dopo l'accoppiamento, la femmina sale su
un cespuglio fino alla punta di uno dei rami sfruttando le otto zampe di cui è
dotata. Poi si lascia cadere da una altezza sufficiente a raggiungere qualche
piccolo mammifero di passaggio o a farsi portare via dal contatto con animali
di taglia più grande.
La zecca, priva di occhi, raggiunge il
punto in cui appostarsi grazie alla sensibilità della sua pelle alla luce.
Questo brigante di strada, sordo e cieco, si avvicina alla vittima attraverso
l'olfatto. L'odore dell'acido butirrico, prodotto dai follicoli sebacei di
tutti i mammiferi, agisce sulla zecca come un segnale che la spinge ad
abbandonare il luogo in cui è appostata facendola cadere in direzione della
preda. Se cade su qualcosa di caldo (proprietà individuata dall'animale grazie
a un acuto senso della temperatura), ciò vuol dire che la zecca ha raggiunto la
sua preda, ovvero un animale a sangue caldo: per trovare un posto il più
possibile privo di peli e infilare la testa nel tessuto cutaneo ha bisogno solo
del suo senso tattile. A quel punto comincia a succhiare lentamente il sangue.
Esperimenti condotti con membrane
artificiali e liquidi diversi dal sangue hanno mostrato che la zecca è del
tutto priva del senso del gusto; dopo aver perforato la membrana, infatti, il
parassita succhia qualunque liquido presenti la giusta temperatura.
Se la zecca invece, stimolata dall'acido
butirrico, cade su un corpo freddo, ciò vuol dire che ha mancato la preda e che
deve risalire fino al luogo nel quale era appostata.
Per il parassita, un'abbondante bevuta
di sangue costituisce il suo primo e ultimo pasto, perché dopo aver mangiato
non le resta altro da fare che lasciarsi cadere a terra, depositare le uova e
morire.
Il modo nel quale si svolge la vita della
zecca ci fornisce la pietra di paragone per mettere alla prova la solidità di
un approccio propriamente biologico, del tutto diverso dallo studio puramente
fisiologico della vita animale, che è stato fino ad oggi quello usuale. Per il
fisiologo, qualunque essere vivente è un oggetto, situato in un mondo che è
sempre lo stesso, quello umano. Egli ne scruta gli organi e il modo in cui si
coordinano tra loro come un tecnico esaminerebbe una macchina sconosciuta. Il
biologo, al contrario, si rende conto che ogni essere vivente è un soggetto che
vive in un proprio mondo di cui l'animale costituisce il centro. Non è
possibile dunque paragonare l'animale a una macchina, ma solo al macchinista
che la conduce.
È bene, dunque, porsi direttamente la
domanda: la zecca è una macchina o un macchinista, è un semplice oggetto o un
soggetto?
[…]
L'intero, ricco mondo che circonda la
zecca si contrae su se stesso per ridursi a una struttura elementare, che
consiste ormai essenzialmente di tre sole marche percettive e tre sole marche
operative: il suo ambiente. Ma è proprio questa povertà dell'ambiente a
determinare la sicurezza del suo comportamento: e la sicurezza è più importante
della ricchezza.
Questo esempio mette in evidenza i
tratti fondamentali della struttura dell'ambiente, tratti che valgono per
qualunque animale.
La zecca possiede, però, una capacità
ancora più sorprendente, in grado di darci un'idea più precisa di che cosa sia
un ambiente animale. È palese che l'eventualità fortunata che un mammifero si
trovi a passare sotto il ramo sul quale è appostata la zecca, o che addirittura
la urti, è straordinariamente rara.
Per assicurare la continuità della specie,
questo svantaggio non è adeguatamente compensato neanche dal grande numero di
zecche che si trovano nella boscaglia. Ad aumentare le sue possibilità di
imbattersi nella preda è una capacità straordinaria: la zecca può sopravvivere
per un tempo lunghissimo senza nutrirsi. Presso l'Istituto zoologico di Rostock,
sono state tenute in vita delle zecche che erano a digiuno da diciotto anni.
Gli esseri umani non possono di certo
attendere diciotto anni come fa la zecca: il nostro tempo è composto da una
serie di istanti, cioè da segmenti temporali molto brevi, all'interno dei quali
il mondo non presenta alcun cambiamento. Durante quell'intervallo che è
l'istante, il mondo è fermo. Per la specie umana, l'istante ha la durata di un
diciottesimo di secondo. Vedremo più tardi che la durata dell'istante cambia da
specie a specie, ma a qualunque lasso di tempo corrisponda l'istante della
zecca, non è possibile resistere per ben diciotto anni in un ambiente
assolutamente statico. Dobbiamo supporre, dunque, che la zecca durante la sua
attesa si trovi in uno stato simile a quello del sonno, che anche negli esseri
umani interrompe per ore la scansione temporale. Nell'ambiente della zecca,
però, il tempo non è sospeso solo per qualche ora: il periodo d'attesa può
protrarsi per diversi anni, fino a che il segnale dell'acido butirrico non
sveglia la zecca riportandola in attività.
Il caso della zecca ci fornisce un
insegnamento molto importante. La nostra impressione è che il tempo faccia da
contenitore per qualunque avvenimento e che, di conseguenza, sia l'unico
elemento stabile nel continuo fluire degli avvenimenti. Abbiamo visto, invece,
che è il soggetto a dominare il tempo del suo ambiente. Mentre fino ad ora
avremmo detto che senza tempo non può darsi un soggetto vivente, ora sappiamo
che occorre dire il contrario: senza soggetto vivente, il tempo non può
esistere.
Nel prossimo capitolo vedremo che la
stessa cosa accade con lo spazio: senza soggetto vivente non si danno né spazio
né tempo. È in questo modo che la biologia si collega alla filosofia di Kant:
la utilizza per un fine scientifico, cioè per evidenziare quanto sia decisivo
il ruolo giocato dal soggetto nella teoria dell'ambiente.
Jakob von Uexküll,
Georg Kriszat [illustrazioni]: Ambienti animali e ambienti umani - Una
passeggiata in mondi sconosciuti e invisibili
Edizione Quodlibet, Macerata, 2013
pagg. 41 e 51
Per me
la terra è un gigantesco riccio di mare, tutte le parti viventi dipendono le
une dalle altre.
Jakob von Uexküll
Dalla Prefazione
Dopo quarant'anni, viene ripubblicato in italiano, con
traduzione e apparati completamente rinnovati, un classico del pensiero europeo
del Novecento, l'opera matura, sicuramente la più godibile e chiara, di uno dei
maggiori biologi del secolo appena trascorso.
Quel che oggi costituisce un luogo comune teorico che ha dato
origine a una branca separata e relativamente autonoma della ricerca
scientifica, l'ecologia, è stato imposto all'attenzione del pensiero
contemporaneo da un personaggio energico ma dal carattere difficile, un barone
prussiano nostalgico dei bei tempi andati ma che, spesso suo malgrado, ha
dischiuso le porte alle più diverse forme di innovazione scientifica e
culturale. Jacob von Uexküll (1864-1944) è il quinto figlio di una famiglia
aristocratica. Nato in Estonia ma di lingua e cultura tedesca, è colui che ha
utilizzato per primo in biologia la nozione di «ambiente» in modo sistematico e
rigoroso.