Eh,
attento agli specchi!
La
moltiplicazione è in agguato! Stormi di specchi volano intorno agli umani.
Starnazzano e ci sfiorano con l'ala. Ci spiano. Segno e specchio forse sono
nati insieme.
Gli
umani sono animali che vivono immersi in un lago di segni, si cibano di segni,
respirano per mezzo di segni; e tutto questo forse in virtù di una remotissima
esperienza speculare.
Stai
attento a quanti specchi, dovunque ti giri: in casa, per le strade, ma anche
nella filosofia, nell'arte, nei sogni, negli incubi.
Sferoidi
riflettenti sono le microscopiche gocce di pioggia che, innumerevoli, fanno
aprire a ventaglio la magarìa multicolore degli arcobaleni. Specchi a migliaia
si annidano nei caleidoscopi, nelle sfaccettature di un brillante che accende
l'incavo di un seno femminile, nei telescopi più grandi del mondo, nelle fibre
ottiche su cui si ramifica il sistema della comunicazione planetaria, nei
centomila teatri dello spazio é della mente.
Troppi.
Anche solo l'idea di elencarne una minima parte è assurda.
Persino
la parola pensare allude a qualcosa di specchiante. Pensare e tradurre il
pensiero in linguaggio: quanti specchi! Già il dire io sono, cioè
"assistere" alla mia esistenza e saperla in qualche modo
identificare, è qualcosa che avviene nel magico mondo degli specchi. Se dico io
sono, lo dico grazie al linguaggio articolato, ma prima ancora lo dico (e lo
penso) grazie alla mia capacità di riflettere sulla mia esistenza, sul mio
starmene a pancia all'aria nel mondo.
Gli
umani hanno questa straordinaria prerogativa: possiedono uno specchio
conficcato e compresso nel cervello. Sono insomma capaci di
"guardare" se stessi mentre esistono. (E in questo, forse, sono a
loro volta riflessi di un'intelligenza divina).
È
la coscienza, "scienza di sé".
Speculare,
riflettere: sono queste le parole che si riferiscono all'esercizio del pensare,
a quello che insomma fanno i teoreti nella loro quotidiana attività
lavorativa... Ri-flettere: ecco la divaricazione da cui sgorga il pensiero, il
divertimento metafisico dell'essere. Guardare dall'esterno quello che avviene
all'interno. Io penso me stesso mentre penso. E comincio a segnare il breve
giro di compasso del mio essere me.
Ed
è da qui che nasce lo sconquasso: la scoperta e l'esperienza dell'identità
finisce col diventare problema tormentoso, se non addirittura un dramma.
Appena
scopro la mia identità, comincio a ficcare paletti tutt'intorno, a
circoscrivere il campo, comincio a creare una caterva di distinzioni.
Attraverso la percezione dell'identità, scopro l'alterità, il diverso, il
plurale. Altri specchi.
Ma
forse tutto l'universo sonnecchia come una balena pigra, sospeso e poggiato su
se stesso. Guarda se stesso e pensa. Riflette.
"Allora questi concepì il pensiero 'possa io
essermi', e mentre pregava si mise in moto" (Upanishad).
(Intorno
ad esso una quantità incalcolabile di non-universi, quello che a occhio e croce
i teologi e i bimbi chiamano ingenuamente il nulla. Il nostro mondo se ne sta
pigro e disteso davanti a questa specie di invisibile mare e riflette).
Alfonso
Lentini, Piccolo inventario degli
specchi, edizione Nuovi Equilibri, Viterbo, 2003, Pagina 93