Ne parlavano tutti così
bene, mi è venuta voglia di sentire il messaggio al parlamento del nuovo
presidente della repubblica, Sergio Mattarella, e ho cominciato a sentirlo e
dopo un po’ m’è venuto in mente di quando ho fatto l’attore, nel 2007, che
avevo un regista, Gigi Dall’Aglio, che mi ha fatto vedere che io avevo dei
gesti parassiti, cioè gesti che vivevano su di me senza che me ne accorgessi e
mi ha detto che in scena, quando recitavo, quei gesti parassiti li avrei dovuti
eliminare. Dopo, a ripensare a quella cosa che mi aveva detto Dall’Aglio, mi
sono accorto che quando parlavo, e quando scrivevo, davo voce a delle
espressioni parassite, che vivevano su di me senza che me ne accorgessi, e in
una cosa che ho scritto ho provato a farne una lista e ho trovato che se uno
era ricco, era sempre sfondato, se aveva la barba, era sempre folta, se c’era
un fuggi fuggi, era generale, se si parlava di acne, era giovanile, se c’eran
delle tecnologie, eran nuove, se c’era un nucleo, era familiare, se c’era
un’attesa, era dolce, se c’era una marcia, era funebre, oppure nuziale, se
c’era un andirivieni, era continuo, se c’eran delle chiacchiere, erano oziose,
se c’era un errore, era fatale, se c’era un delitto, era efferato, se c’era un’
impronta era indelebile e mi son detto che quando usavo queste espressioni a me
sembrava di parlare, in realtà io non parlavo, ero parlato, cioè non dicevo
quel che volevo dire io, dicevo quel che voleva dire la lingua (parassita). E
in rete, su un sito dove ogni tanto scrivo delle cose (www.paolonori.it), con
l’aiuto dei lettori del sito ho provato a allungare questa lista di espressioni
parassite e ho trovato che se c’è un quadro, è allarmante, se c’è uno stupore,
è infantile, se c’è uno sciopero, è generale, se c’è una folla, è oceanica, se
c’è un lupo, è solitario, se c’è un cavallo, è di Troia, se c’è una botte, è di
ferro, se c’è un terrorista, è islamico, se c’è un porto, è delle nebbie, se
c’è un silenzio, è di tomba, se c’è un ombra, è di dubbio, se c’è una morsa, è
del gelo, se c’è una resa, è dei conti, se c’è una verità, è sacrosanta, se c’è
una salute, è di ferro, se c’è una svolta, è epocale, se c’è un genio, è
incompreso, se c’è un ok, è del senato, se c’è uno sciame, è sismico, se c’è un
consenso, è informato, se c’è un secolo, è scorso, se c’è una dirittura, è
d’arrivo, se c’è un pallone, è gonfiato, se c’è un cervello, è in fuga, se c’è
una repubblica, è Ceca, se c’è un battesimo, è del fuoco, se c’è un dispiacere,
è vivo, se c’è un carattere è cubitale. E nel discorso del presidente della
repubblica, Sergio Mattarella, nei primi minuti, se c’era un saluto, era
rispettoso, se c’era un pensiero, era deferente, se c’era un momento, era
difficile, se c’era una carta, era fondamentale, se c’era un consiglio, era
superiore (e della magistratura), se c’era un’unità, era nazionale, se c’era
una prova, era dura, se c’era un’unione, era europea, se c’eran dei diritti,
eran fondamentali, se c’era un popolo, era italiano, se c’era un bene, era
comune, se c’era un capo, era dello stato, se c’era un garante, era della
costituzione, se c’era un arbitro, era imparziale, e lì mi sono fermato e mi
sono chiesto “Ma come mai, ne han parlato tutti così bene?”.
Paolo Nori