Quante suggestioni,
quante emozioni pervengono a chi prende sul serio le metafore e non le
considera semplici giochi linguistici o peggio meri ornamenti di stile dai
quali si può uscire senza difficoltà. E quante nuove letture di un fenomeno
vecchio come il silenzio proposte dalla benemerita quanto bizzarra Accademia
del Silenzio per un mondo sempre più pieno di voci suoni e rumori.
Non si può tuttavia,
nell’edificare strutture e nell’intuire parallelismi, non ricordare il fatto
che l’immaginazione metaforica conosce ragioni che la ragione non conosce, ed
è, come vedremo, refrattaria a esperimenti dirimenti che le vogliano far dire
sempre inesorabilmente una cosa sola.
Ben lo si vedrà nel
caso del silenzio, il silenzio delle voci in particolare (il “tacere”), per il
quale inseriamo qui un nuovo tassello al nostro mosaico metaforico: voce e
silenzio come acqua e ghiaccio.
Ma ascoltiamo prima la meravigliosa storia
delle parole gelate, accennata già in un aneddoto di Plutarco, presente nel
Cortigiano del Castiglione, ma sviluppata per esteso soltanto nel poema
francese del cinquecento Gargantua e
Pantagruele di François Rabelais. La
storia racconta così: Pantagruele e compagni, trovandosi in alto mare, credono
di udire voci di persone che parlano in aria, ma pur sforzando gli sguardi, non
vedono nessuno. Prestando attenzione, riescono a riconoscere intere parole e
frasi. Ricordando la (presunta) dottrina di Platone sulle parole “le quali in
certi paesi, nel tempo del più forte inverno, allorché vengono proferite,
gelano e ghiacciano al freddo dell’aria e non sono sentite”, Pantagruele e soci
si rendono conto allora di trovarsi nel posto dove le parole si erano gelate e
che in quel momento, per effetto della bella stagione, disgelavano. Parole
gelate che Pantagruele gettava ai compagni in forma di confetti perlati di vari
colori, azzurri, neri, dorati: scaldatesi nelle mani, le parole-confetto
“fondevano come neve” trasformandosi in suoni.
Siamo di fronte a una
suggestiva trasposizione letteraria dell’idea che la parola, fluida, scorre,
mentre mentre il silenzio, di ghiaccio, racchiude in un blocco compatto e
immobile, le parole gelate, talvolta “troppo gelate per sciogliersi al sole”.
Così, come ascoltando e cantando mille volte La guerra di Piero di de Andrè non ci siamo mai interrogati del
perché quelle parole strette nella bocca non potessero sciogliersi, dal momento
che lo capivamo e lo accettavamo e basta, così non staremo a chiederci qui se
il silenzio è “veramente” di ghiaccio o di pietra e se si può rompere,
spezzare, frantumare e “perché”. Se nessuno ce lo chiede infatti, la risposta
la sappiamo, ma se qualcuno ce lo chiede, non siamo in grado di dargliela.
Francesca Rigotti, Metafore
del Silenzio, Mimesis/Accademia del Silenzio, Milano-Udine 2013