La nazione italiana esiste dal medioevo, precede addirittura il formarsi
della nazione tedesca, francese, spagnola, britannica. La lingua parlata oggi
in Italia assomiglia a quella di Dante come nessuna lingua europea assomiglia
al suo progenitore del XIII o XIV secolo. E ha secoli di storia non solo la
nazione, ma anche la coscienza di essa da parte degli spiriti più illuminati:
basta rileggere Dante, Petrarca, poi Machiavelli.
La peculiarità della storia italiana non è la nascita recente della
nazione, è la combinazione di una nazione precoce e di uno Stato tardivo; è il
fatto che per tanti secoli si sia avuta l'una senza l'altro e che l'assenza
dello Stato unitario non abbia impedito la presenza della nazione.
La
Lombardia è la regione più ricca dell'Italia; di questa, Milano è considerata
la capitale economica e si considera la capitale morale. Erano 'milanesi', di
nascita o di adozione, alcuni degli spiriti più illuminati del Sette e
Ottocento: Romagnosi e Manzoni, Casati e Cattaneo, Verdi e Rosmini. Nello
stesso tempo, la Lombardia è l'unica regione della penisola che, allorché si
fece l'unità d'Italia, non era da secoli sede di uno Stato indipendente.
Torino, Napoli, Venezia, Firenze, Roma erano capitali, Milano no. Essere
capitale significa possedere e sviluppare nel territorio circostante una
cultura e una coscienza dello Stato, ospitare istituzioni politiche e
amministrative, formare classi dirigenti pubbliche e – per i privati –
interagire con esse.
Forse
per questi motivi, l'atteggiamento di Milano verso lo Stato è da tempo
ambivalente: nostalgia e desiderio di Stato, ma anche senso di estraneità e
visione immatura della sua funzione. L'impegno civico si è rivolto più alle
istituzioni municipali o regionali che a quelle nazionali. L'insofferenza per
le carenze dello Stato, per l'inefficienza della sua amministrazione si è
tradotta non in impegno riformatore, ma in ostilità allo Stato stesso o
addirittura nell'idea semplicistica che 'se al volante ci fossimo noi' (noi
milanesi, noi imprenditori) la macchina dello Stato allora sì che
funzionerebbe.
Per il vero, le tre 'marce su Roma' partite da Milano nel secolo
passato per mettere un leader politico 'decisionista' alla guida del Paese
hanno avuto effetti piuttosto distruttivi che costruttivi per lo Stato.
L'affermarsi del federalismo come tema di dibattito nazionale e la sua
iscrizione nel programma di riforme della Repubblica sono stati finora una
grande occasione mancata per le élites del Nord. Il federalismo era per la
classe dirigente e imprenditoriale milanese una via naturale per assumere la
guida di un'azione di riforma e rafforzamento dello Stato e della nazione, e
per esercitare una responsabilità nazionale. Poteva rianimare la grande
tradizione di Carlo Cattaneo, saldarsi col disegno di una federazione europea,
trasformarsi in un vero progetto di riforma dello Stato nazionale, promuovere
un impegno delle classi dirigenti meridionali coerente con gli ingenti
trasferimenti dal Nord di risorse operati dalla politica meridionalistica.
Invece,
il federalismo è divenuto la parola d'ordine di una formazione politica abile
ma rozza, che fa appello senza alcuno scrupolo, incoraggiandoli, agli
atteggiamenti anti-Stato, anti-nazione, xenofobi, tribali della parte più
incolta di alcune regioni del Nord, particolarmente quelle prive di storia e
tradizione di tipo statuale. Le patologie dell'Italia come Stato e
l'atteggiamento verso lo Stato della sua città più ricca, più evoluta e più
aperta internazionalmente, sono due fenomeni complementari.
Le influenze
negative sono andate nei due sensi e invece di correggersi vicendevolmente si
sono purtroppo rafforzate l'una con l'altra. È perciò del tutto impensabile che
lo Stato italiano possa guarire dei suoi mali senza il contributo determinante
di Milano.
Tommaso Padoa Schioppa
da una lettera del settembre
2009 a Franco Continolo (Associazione Impresa Domani), citata in Franco Continolo - Milano "clef d'Italie" -
Il rapporto di Milano con lo Stato - Edizione Lampi di stampa, Milano, 2012