“In certi paesi le
giornate sono fatte solo di epiloghi, ogni persona, ogni avvenimento sembra
ruotare intorno alla dismissione, alla resa, al fallimento. Forse c’è un solo
modo per non cadere nella disperazione: svolgere una serena obiezione all’esistente,
immaginare che dai paesi più vuoti può venire uno sguardo che risana, perché
quando si è in pochi nessun cuore è acqua piovana”
F. Arminio
La paesologia non è solo “uno
sguardo che risana” ma soprattutto un ascolto generoso e misericordioso dalle
poche ma intense parole che si riescono ad ascoltare sulle panchine “dello
sconforto e della beatitudine”.L’umanesimo delle montagne si racconta su queste
panchine dove “si guarda senza essere visti e ci si dà il tempo di perdere il
tempo”. Le panchine ti “chiedono misericordia” e sono sorde verso chi “ha
qualcosa da insegnare, uno che vuole cambiare la sua vita e quella degli
altri.
Nei “piccoli paesi dalla grande vita” non è solo un’anomalia sociale ma
una riserva di senso non solo da parte di chi si sente estraneo , abbandonato
dalla Storia e si sottrae alle regole scritte della crescita, della
produttività, dell’efficienza ma anche una rappresentazione autonoma e libera
anche allo sguardo degli altri. I cittadini delle nostre panchine paesane sono
molto diversi da quelli delle grandi metropoli postindustriali rappresentate da
anziani, donne incinte o con carrozzina, badanti in riposo o al mercato maschi o
femmine adulti, chi sta seduto su una panchina è poco raccomandabile. Nel migliore
dei casi è un disoccupato, uno sfaccendato, una vita di riserva da ignorare o
da temere. Nei nostri paesi la panchina è lo spazio pubblico delle vite
compiute e piene dove la solitudine e il silenzio sono i paradigmi per nuovi
racconti possibili dove le parole continuano ad avere peso comunicativo e il
silenzio esprime il massimo della vita vissuta. Ma la panchina è l’ultimo
simbolo di qualcosa che non si compra o si fa mercato di cose inutili ma solo
di sentimenti forti o , di un modo gratuito di trascorrere il tempo nella
inoperosità neanche nella decrescita e di mostrarsi in pubblico, di abitare le
piccole comunità ,il tempo interno e lo spazio di cui si è parte esclusiva.
La
panchina è un luogo di sosta di un’utopia realizzata nella fatica dell’esistenza
e nell’amore carnale per la terra. Sono rivolte all’infinito e al centro della
piazza ….è il margine sopraelevato della realtà, e continuo e distaccato
contatto con il futuro che passa e ti saluta “buongiorno!” e la risposta
doppia “Buongiorno, buongiorno”. La panchina è anche anche il posto ideale per
osservare quello che accade e prenderne atto sotto un’angolatura defilata e
sospesa ma presente al futuro con un messaggio ancora utile: umanesimo delle
montagne si fonda sulla cultura esistenziale in cui l’otium sostituisce il
negotium, e la cultura non solo della nostalgia ma dell’attesa,della
misericordia, della contemplazione ha la meglio sui traffici, i commerci e gli
scambi.
di Mauro Orlando
http://comunitaprovvisorie.wordpress.com/2012/09/29/lumanesimo-delle-panchine/