18 GIORNI D'OCEANO.
L'oceano è un fatto di immaginazione. Sul mare non si vedono le coste, sul mare
le onde sono più numerose di quanto non serva nella vita quotidiana, sul mare
non sai cosa ci sia sotto di te.
Ma soltanto l'idea che
a destra non c'è terra fino al polo e a sinistra non c'è terra fino al polo,
davanti a te c'è un secondo mondo del tutto nuovo e sotto di te, forse, c'è
l'Atlantide, ebbene, soltanto quest'idea è l'oceano Atlantico. Calmo, l'oceano
è noioso. Per diciotto giorni scivoliamo come una mosca sullo specchio. Solo
una volta abbiamo assistito a uno spettacolo ben riuscito, sulla via del
ritorno da New York a Le Havre. Un denso acquazzone copriva di schiuma il
bianco oceano, striava di bianco il cielo, con fili bianchi cuciva il cielo
all'acqua. Dopo è comparso l'arcobaleno. L'arcobaleno si rifletteva e si
chiudeva nell'oceano e noi, come acrobati di circo, ci gettavamo nel cerchio
iridescente. Poi di nuovo spugne galleggianti, pesciolini volanti, pesciolini
voltanti e spugne galleggianti del mar dei Sargassi, e in rare, solenni
occasioni, fontane di balene. E sempre, fino alla noia (a volte fino alla
nausea), acqua e acqua.
L'oceano stanca, ma
quando non c'è ci si annoia.
Dopo, cerchiamo a
lungo il fragore dell'onda, il rumore tranquillizzante delle macchine, il
tintinnio ritmato delle placche di rame dei boccaporti.
Vladimir Majakovskij, America,
Voland, Roma, 2004,