Quel che mi stupisce
sempre è la povertà delle nostre idee sulla morte mentre siamo cosi pronti a
sottilizzare in altri argomenti. È un bene o è un male. Ne ho paura o la invoco
(dicono). Ma questo prova anche che tutto ciò che è semplice ci supera. Che
cos'è l’azzurro e che cosa pensare dell' azzurro? La stessa difficoltà per la
morte. Della morte e dei colori, non sappiamo discutere. Pure, ciò che importa
è quest’uomo davanti a me, pesante come la terra, che prefigura il mio
avvenire. Ma posso pensarci veramente? Mi dico: io devo morire, ma non vuoi
dire nulla, perché non arrivo a crederlo e non avere altro che l’esperienza
della morte altrui. Ho visto della gente morire. Soprattutto, ho visto morire
dei cani. Era toccarli che mi sconvolgeva. Allora penso: fiori, sorrisi,
desideri di donne, e capisco che tutto il mio orrore di morire dipende dalla
mia gelosia di vivere. Sono geloso di coloro che vivranno, per i quali fiori e
desideri di donne avranno tutto il loro senso di carne e di sangue. Sono
invidioso, perché amò troppo la vita per non essere egoista. Che m'importa dell’eternità?
Un giorno si può essere in un letto e sentirsi dire: “Voi siete forte e io
debbo essere sincero con voi: posso dirvi che state per morire;” essere là con
tutta la propria vita tra le mani, la paura nelle viscere e uno sguardo idiota.
Che significato ha il resto? Fiotti di sangue mi pulsano alle tempie e mi
sembra che potrei schiacciare tutto intorno a me.
Ma gli uomini muoiono
loro malgrado, nonostante te cose di cui si circondano. Si dice loro: “Quando
sarai guarito...,” e muoiono. Io non voglio questo. Perché, se esistono giorni
in cui la natura mente, esistono giorni in cui dice il vero Djemila dice il
vero questa sera, e con quale triste e insistente bellezza!
Quanto a me,
davanti a questo mondo, non voglio mentire ne che mi si menta. Voglio portare
la lucidità sino in fondo e guardare la fine profondendo tutta la mia gelosia e
il mio orrore. Ho paura della morte nella misura in cui mi separo dal mondo, nella
misura in cui mi affeziono alla sorte degli uomini che vivono, invece di
contemplare il ciclo che dura. Creare delle morti coscienti significa diminuire
la distanza che ci separa dal mondo, e entrare senza gioia nel compimento, coscienti delle immagini
che esaltano un mondo perduto per sempre. E il canto triste delle colline di Djemila
mi imprime più profondamente nell'anima l'amarezza di questo insegnamento.
Albert Camus da “Il vento a Djemila” in L’Estate e altri
saggi solari, Bompiani, 1989